Gino Bartali, Ginettaccio
per amici e tifosi, nacque a Ponte a Ema, provincia di Firenze, il 18 luglio
1914. Nella sua carriera agonistica vinse tutto ciò che si poteva vincere, dal
Giro d’Italia al Tour de France, dalla Milano-Sanremo al Campionato italiano. Un
palmarès ricco di vittorie e
soddisfazioni. Oltre alle sue memorabili imprese ciclistiche, Bartali viene
ricordato per due episodi rimasti nel cuore degli italiani e nella storia del
nostro Paese. Due storie vere che presero le mosse da fatti drammatici che
segnarono quei periodi storici.
Il primo attiene a fatti avvenuti tra il 1943 e il 1944, piena
seconda guerra mondiale, quando Gino Bartali salvò oltre 800 persone con un
mezzo che conosceva bene: la sua bicicletta. “L'autunno del '43 è stato uno dei
momenti più terribili della guerra. Bartali iniziò a trasportare documenti
falsi da Assisi, dove c'era una stamperia clandestina, al vescovo di Firenze
che poi li distribuiva agli ebrei per farli espatriare”, ha raccontato Simone
Dini Gandini, autore di La bicicletta di Bartali. “Percorreva 185
chilometri avanti e indietro in un solo giorno: se fosse stato scoperto sarebbe
andato incontro alla fucilazione”. Non raccontò a nessuno queste sue imprese.
Lo disse a suo figlio solo anni dopo, perché non amava far sapere le sue gesta
e perché secondo lui "il bene si fa ma non si dice". “Nell'autunno
del '43 Bartali venne arrestato dalla polizia fascista: a Firenze c'era il
temutissimo comandante Mario Carità, persona crudele e spietata”, racconta ancora
Dini Gandini. “Venne fermato ma nessuno ispezionò la sua bicicletta: grazie a
questa 'dimenticanza' il campione si salvò”.
Nel 2006, sei anni dopo la sua morte, gli venne conferita alla
memoria la Medaglia d'oro al valore civile e nel 2013 gli è stata assegnata
dallo Stato di Israele l'onorificenza di Giusto fra le Nazioni.
Gino Bartali e Fausto Coppi
Il secondo episodio riguarda un fatto che, secondo molti italiani,
evitò la guerra civile: la vittoria di Bartali al Tour de France del 1948. Un
Paese senza identità nazionale e semidistrutto dai bombardamenti degli alleati
e dalla guerra contro il nazifascismo aveva bisogno di ritrovarsi e di avere
fiducia. E il ciclismo consentì a molti italiani di identificarsi nella fatica
consumata sulla strada. Quella stessa strada che vide partigiani e fascisti
spararsi, ora è il luogo in cui si aspettano i ciclisti che salgono sulle
montagne, le quali consumano divisioni e rivalità.
Il 1948 segnò una svolta cruciale per la storia italiana: fu
l'anno della nuova Carta costituzionale e delle prime elezioni dell'Italia
repubblicana dopo il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale. Nei primi
mesi di quell’anno iniziò anche la Guerra
Fredda. Il mondo venne diviso dagli accordi di Yalta e anche in Italia il mondo
politico si spaccò: da un lato la Democrazia Cristiana, dall’altro il neonato
Fronte Democratico Popolare, costituito da socialisti e comunisti.
Oleograficamente è l’Italia di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, di un
giovane Giulio Andreotti e di Pietro Nenni, dei personaggi di Don Camillo e
Peppone, creati dalla realistica fantasia di Guareschi, ritratti quanto mai
fedeli della netta spaccatura politica tra la gente di quegli anni.
Il ‘48 fu anche l'anno in cui il Paese sfiorò la guerra civile per
via dell'attentato a Palmiro Togliatti.
A Roma, la mattina del 14 luglio, il segretario generale del Pci venne
gravemente ferito dai colpi di pistola sparati dal giovane studente neofascista
Antonio Pallante. La notizia dell'attentato portò alla rivolta spontanea il
popolo della sinistra, con gravi ripercussioni in molte città della Penisola.
Malgrado l’invito a mantenere la calma da parte dei dirigenti comunisti e dello
stesso Togliatti, per due giorni uno stato di ansia febbrile e generalizzata fece
temere per le sorti della democrazia appena nata. Ma le vittorie di tappa sulle
Alpi francesi di Gino Bartali, rimaste nella storia del ciclismo, che permisero
al campione toscano di recuperare 21 minuti di ritardo dal leader della corsa
Bobet e di vincere il Tour de France, contribuirono ad allentare lo sguardo
sull’attentato ed a rasserenare il clima di tensione nel Paese.
In quegli
anni venne lanciato uno schema, tanto banale quanto semplicistico, che però fece effetto sulla gente, che
identificava Bartali, cattolico e democristiano, come il 'De Gasperi del
ciclismo' e Coppi, uomo di sinistra, nel 'Togliatti della strada'. Il tifo
sportivo e lo scontro ideologico s'intrecciavano. Erano loro i simboli di
un’Italia che cercava faticosamente di rialzarsi, dopo la triste esperienza
della seconda guerra mondiale. Questi due campioni, rivali nello sport, ma senza
mai sconfinare nell’inimicizia, hanno rappresentato quei miti sportivi capaci
di distrarre gli animi degli italiani dalla miseria, dalla distruzione e dalla
desolazione che regnavano in quegli anni nel nostro Paese.
Il Messaggero riporta la notizia in prima pagina dell'incidente a Bartali
Veniamo ora all’incidente del 1953 in Brianza. Il 18 ottobre Gino
Bartali fu coinvolto in uno scontro tra due auto mentre era diretto a Lugano,
dove era atteso per il gran premio a cronometro Vanini. All’altezza del bivio
per Asnago-Cantù, sulla statale Milano-Como, la Lancia Aurelia su cui viaggiava
in compagnia del suo massaggiatore e di tre amici venne investita da un’altra
vettura, una Fiat 1100 che non aveva rispettato lo stop. La Lancia fece un paio
di giri su se stessa e si capovolse in un prato. Bartali fu catapultato fuori
dalla vettura e rimase al suolo semisvenuto e dolorante. Le conseguenze
apparvero immediatamente serie e gravi, tanto da far temere la definitiva
conclusione della carriera agonistica del corridore. Bartali, come da lui
richiesto, venne ricoverato presso la casa di cura Don Camillo di Milano. Il
giorno successivo il Corriere della Sera,
in un ampio servizio sull’accaduto, insieme al resoconto delle condizioni di
salute del corridore toscano, pubblicò una grande foto di Alcide De Gasperi al
capezzale del malato. Nei giorni della degenza perfino il cardinale Schuster si
recò alla clinica Don Camillo a portare parole di conforto, riferendo a Bartali
che il Santo Padre si interessava delle sue condizioni di salute. Il 22 ottobre
toccò a Fausto Coppi far visita a Ginettaccio,
in un incontro definito amichevole e cordiale. Ciò che si rivelò veramente
sorprendente fu la generale emozione che da subito si diffuse in ogni parte del
Paese, coinvolgendo ogni ceto sociale della popolazione.
Gino Bartali
si riprese, tanto che nel maggio del 1954 partecipò al Giro d’Italia, l’ultimo
per lui. Al compimento dei quarant’anni si ritirò dalle competizioni
agonistiche, pur rimanendo nel mondo del ciclismo. Ancora oggi il mondo ricorda
Bartali, scomparso nel 2000 a 86 anni, per le sue leggendarie vittorie e per la
sua grande personalità.
Paolo Conte, il
noto cantautore di origine piemontese, gli dedicò una canzone per la vittoria al Tour, che fa così: “Oh,
quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste
come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita, e i francesi ci
rispettano che le balle ancora gli girano, e tu mi fai - dobbiamo andare al cine
- e vai al cine, vacci tu. C'è un po' di vento, abbaia la campagna, e c'è una
luna in fondo al blu. Tra i francesi che si incazzano e i giornali che
svolazzano, e tu mi fai - dobbiamo andare al cine - e vai al cine, vacci tu!”
Beniamino Colnaghi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.