Prima parte
"Ma, quando io avrò durata
l'eroica fatica
di trascriver questa storia da questo dilavato
e graffiato autografo, e l'avrò data,
come si suol dire, alla luce, si troverà poi
chi duri la fatica di leggerla?"...
di trascriver questa storia da questo dilavato
e graffiato autografo, e l'avrò data,
come si suol dire, alla luce, si troverà poi
chi duri la fatica di leggerla?"...
Alessandro Manzoni
Nove aprile 1950, Pasqua. Quel giorno, verso le prime ore
dell’alba, quasi tutti i coscritti della classe 1930 e una manciata di
residenti di Verderio Superiore vennero arrestati e condotti in prigione.
Furono portati a Pescarenico, un gruppetto di case, tra le quali il carcere,
adagiate sulla riva sinistra del fiume Adda. Gli arresti causarono clamore e tensione
nella popolazione, la quale non riuscì a spiegarsi il motivo per cui un
“contatto” tra un giovane carabiniere e un iscritto alla leva, accompagnato
dalla successiva protesta di alcuni suoi amici, poté scatenare una risposta così
forte da parte delle forze dell’ordine. Il panico e la paura presero il
sopravvento. Il paese rimase sgomento di fronte a tanto accanimento contro
alcuni dei suoi figli.
Il periodo che intercorse tra il 9 aprile 1950 e il 27
maggio 1951 segnò uno spartiacque che cambiò radicalmente le sorti politiche di
Verderio Superiore. In quei quattordici mesi, in un piccolo borgo contadino e
operaio brianzolo, che contava poco più di mille abitanti, attraversato, a soli
cinque anni dalla fine di una terribile guerra, da una situazione economica e
sociale carica di difficoltà e incertezze, avvennero alcuni fatti significativi
che generarono paura ed introdussero un clima di “caccia alle streghe”.
Alcuni momenti della nostra storia sono destinati a non
passare mai ed a riaffiorare periodicamente, come ferite mai rimarginate. I
fatti drammatici degli iscritti alla leva nati nel 1930, che a causa del loro
peso si è tentato di rimuovere dalla memoria collettiva, sono stati spesso banalmente
e frettolosamente derubricati come normali fatti di cronaca, narrazione di
comportamenti al limite della rissa da parte di alcuni giovani, per raccontare
i quali normalmente si fa portavoce il diritto di cronaca. Una consapevole e
voluta amnesia ha evitato di investigare la complessità degli avvenimenti,
evitando il travaglio dei laceranti ricordi. E’ venuto però spontaneo chiedersi
se fosse lecito scoperchiare la pentola da fatti così drammatici quando molti
fra coloro che li hanno vissuti personalmente hanno voluto rimuoverli ovvero
non sono più tra noi. Una delle coscienze critiche del Novecento come Mario
Rigoni Stern riteneva che quel velo andasse risollevato sino in fondo. “Cosa
sarebbe la storia senza la memoria?”, si era chiesto poco prima di morire, con
una domanda che non prevedeva risposta.
Per comprendere la reale drammaticità dei fatti e la vera
portata storica e politica è necessario svolgere alcuni approfondimenti e puntuali
considerazioni di carattere generale, nonché introdurre elementi che possano
contribuire a comprendere meglio gli eventi in parola, che necessitano di essere
contestualizzati e inseriti con oggettività dentro quel periodo
storico. L’approccio metodologico utilizzato verte sull’accettazione del
principio per il quale la conoscenza dell’ambiente in cui un determinato
costrutto si forma è fondamentale. Non è infatti possibile comprendere in modo
pieno il significato di certi avvenimenti se non si conosce il contesto
socioeconomico entro il quale essi hanno avuto origine e preso forma. Malgrado,
tuttavia, la ricerca e la buona volontà, fatti di grande importanza sono spesso
di difficile accertamento, soprattutto a seguito della scomparsa dei testimoni
diretti, conosciuti solo parzialmente o attraverso la tradizione orale,
considerato che i documenti mancano o sono inaccessibili.
Per la stesura dell’articolo, quindi, ho ripreso appunti e
note del mio archivio personale, raccolti negli anni grazie a testimonianze di
cittadini verderiesi e, al fine di avvalorare e confermare quelle informazioni,
nei mesi scorsi ho ritenuto necessario risentire alcune persone del luogo che
vissero il clima di quei mesi, le quali mi hanno fornito ulteriori e preziosi
dettagli. Per poter avere altri elementi utili al lavoro, sono stati esaminati
anche i testi di storia locale, editi negli ultimi anni, in particolare: Verderio,
la storia attraverso le immagini e i personaggi, a cura della Biblioteca di
Verderio, Quand sérum bagaj, di Giulio Oggioni e il libro La chiesa
parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano, uscito in occasione del
centenario della costruzione della chiesa di Verderio ex Superiore. Ho svolto ulteriori
ricerche presso l’archivio storico del Comune di Verderio e del giornale Il
Resegone di Lecco.
Una tipica famiglia brianzola in una foto degli anni Venti del Novecento
In questo lembo di terra
lombarda, per alcuni secoli dominato da potenti e ricche famiglie borghesi e aristocratiche,
proprietarie di ingenti patrimoni, la legge fu, come scrisse
Gaetano Salvemini, "la voce del padrone". I contadini non avevano
né titolo né forza per esercitare i loro sacrosanti diritti. Più semplicemente, non avevano diritti. L’affresco della loro
vita era desolante: lavoravano duro, in alcuni periodi dell’anno fino a dodici-quattordici
ore al giorno, vivevano in luoghi e abitazioni privi delle minime condizioni
igienico-sanitarie e la maggior parte di essi era semianalfabeta. Questa
situazione si protrasse fin oltre la conclusione della seconda guerra mondiale.
Nei primissimi anni Cinquanta le condizioni di vita della gente brianzola registrarono
un discreto miglioramento. Tuttavia, la nascente classe operaia ed i nuovi ceti
popolari, seppur maggiormente scolarizzati ed in possesso di una nuova coscienza
di classe, ebbero grosse lacune e difficoltà a comprendere appieno i meccanismi
che generavano le dinamiche sociali, perché privi sostanzialmente di strumenti adeguati.
Mancarono, fin oltre gli anni Cinquanta, strumenti di analisi e conoscenze che
permettessero di comprendere le evoluzioni in corso. Senza le opportune
valutazioni e privi degli approfondimenti sulla realtà, non si comprese fin da
subito, almeno secondo le testimonianze raccolte, ciò che stava covando sotto
la cenere a Verderio Superiore. Probabilmente, il sommovimento che stava avvenendo, oltre a sovrastare
le esigue forze locali, non fu interpretato per ciò che effettivamente valse e fu
letto con occhiali appartenuti ad un periodo storico in via d’esaurimento. Può essere concessa, in buona sostanza,
una strutturale debolezza e impreparazione delle forze che vissero quella
stagione politica e possono essere messi nel conto limiti e sottovalutazioni
ma, a parziale discolpa di quegli uomini ed a prescindere dalla loro eventuale
impreparazione, il punto vero di rottura fu prodotto dal fortissimo, e a volte
drammatico, scontro ideologico che avvenne negli anni a cavallo tra i Quaranta
e i Cinquanta. Entrarono pesantemente in gioco altri due fattori, tipicamente
locali: il primo fu dovuto al fatto che nella “bianca” e cattolicissima Brianza
non poté essere consentita la presenza di una realtà locale, di piccole
dimensioni ma che avrebbe potuto diventare contagiosa, governata da un’amministrazione
socialcomunista, che si ispirava alle idee marxiste; il
secondo motivo riguardò intromissioni
arbitrarie e ingerenze fortissime operate da forze interne ed esterne al paese.
Carta topografica della Brianza del 1851 (cliccare sulle foto per ingrandirle)
Nel periodo da
cui sono partito, ossia dagli ultimi decenni dell’Ottocento, l’Italia era un
paese prevalentemente agricolo, di conseguenza l'associazionismo operaio e il
municipalismo popolare si svilupparono tardi, rispetto ad altri Paesi europei. Ciò
avvenne soprattutto e quasi esclusivamente nelle aree industrializzate. In
Brianza, ad esempio, per i motivi sinteticamente sopraespressi, si crearono
tardi le condizioni per sviluppare progetti che coniugassero, come avvenne
invece in Emilia-Romagna, la difesa della tradizione civica comunitaria con il
governo delle trasformazioni economiche, mediante il sostegno al mondo del
lavoro (cooperative, leghe e camere sindacali) e lo sviluppo dei servizi
municipalizzati, con il controllo ed il calmieramento dei prezzi. Nel 1915, di
fronte alla situazione dolorosa creata dal rincaro della vita, alcuni comuni
emiliano-romagnoli effettuarono direttamente la vendita alle classi bisognose
di grani, farina ed altri generi di prima necessità a prezzi inferiori a quelli
correnti e favorirono ogni iniziativa diretta ad aprire spacci pubblici e ad
accaparrare acquisti all’ingrosso di generi alimentari.
Le cronache del
tempo parlano di diversi casi di morte per fame, denutrizione e freddo per non
parlare poi delle varie malattie che affliggevano l’intero Paese. Soltanto nel
1870 sorsero le prime leghe con fini sindacali e negli ultimi anni
dell'Ottocento si estesero le società di mutuo soccorso. Ben presto, accanto
alle leghe dei lavoratori dell'industria, che nacquero a seguito del grande
sviluppo industriale, si svilupparono anche quelle dei contadini e dei
braccianti e, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, furono istituite
anche le Camere del lavoro che, insieme alle federazioni sindacali, divennero uno
strumento di difesa dallo sfruttamento e dalla disoccupazione dilagante nel Nord
d’Italia, nel periodo della depressione economica di fine secolo. Nel Settentrione
gli industriali, gli agrari e le classi più reazionarie cominciarono a chiedere
lo scioglimento delle Camere del lavoro e la limitazione del diritto di libera
associazione. Il socialismo era già qualcosa che incuteva timore e che doveva
venir soffocato al più presto.
Negli anni
attorno al 1890 cominciò la depressione agricola che ridusse molti contadini
alla fame, i quali, a volte, reagirono usando la forza e la violenza. Vi furono
notizie di municipi e uffici del dazio dati alle fiamme e di contadini che
occuparono la terra dei grandi proprietari terrieri. Il malcontento e il
rafforzamento dell’estrema sinistra parlamentare andava di pari passo con il
progresso del socialismo marxista fra i lavoratori delle città. Nel 1891 ci si
mise pure la Chiesa che, con l’enciclica Rerum
Novarum di papa Leone XIII, criticò sì il socialismo, ma non di meno
formulò il principio che la proprietà doveva venir equamente distribuita, che
era necessario avere riguardo speciale ai deboli e ai
poveri e che le associazioni operaie non erano necessariamente un male.
Il disastro
della battaglia di Adua del 1896 aggravò la crisi economica, favorendo quel
tipo di evoluzione sociale che affossò l’aristocrazia del Risorgimento e affermò
una classe dirigente nuova. Ma a pagare i prezzi più alti fu sempre la povera
gente. Un operaio doveva lavorare mediamente tre ore per comprarsi un chilo di
pane. A Milano, nel maggio 1898, a seguito dell'aumento del costo della farina
e del pane, gravati dall'esosa tassa sul macinato, la popolazione affamata
insorse e assaltò i forni. Quando le staffette comunicarono al generale Bava
Beccaris che i milanesi avevano costruito diverse barricate su alcune vie
strategiche della città, che bande di diseredati armati scendevano dalla
Svizzera verso Milano e che contadini muniti di forche e bastoni stavano
giungendo in processione dalla Brianza, non ebbe esitazioni: “Quando il vecchio
soldato comanda, colpite”. L’ordine fu di sparare a vista. L'insurrezione durò
vari giorni e fu repressa nel sangue. Nella feroce repressione militare vi
furono oltre 100 morti
e 450 feriti. Tra le vittime, su cui si sparò con la mitraglia ed i
cannoni, vi furono anche dei poveri intenti a ricevere una ciotola di minestra nel
convento dei Cappuccini. Nessuno sospetta, scrisse in un romanzo su quella
Milano Carlo Castellaneta, che un tessitore anarchico di nome Gaetano Bresci si
stia preparando, in segreto, a vendicare quei morti.
L'esercito staziona in Piazza del Duomo a Milano (1898)
Moti
con le conseguenti repressioni vi furono anche in Brianza. Vi fu una caccia a
persone in condizioni di vita miserevoli, innocue ma definite, in senso
dispregiativo, briganti. A Monza i morti furono sette e diciotto
i feriti. La folla manifestò nelle strade e nelle piazze per chiedere di sospendere
la partenza dei richiamati alle armi (partire significava perdere il posto di
lavoro, togliere entrate al già magro bilancio familiare), per rivendicare
libertà sindacali e politiche, per la riduzione del prezzo della farina e del
pane. A Milano vennero arrestati molti lavoratori e dirigenti socialisti e
democratici; a Monza finirono in carcere i massimi rappresentanti della Camera
del Lavoro e del movimento socialista e altri venticinque cittadini, in gran
parte operai.
Gli anni che
vanno dal marzo 1896 al dicembre 1900 furono tra i più tumultuosi e drammatici
di tutta la storia dell'Italia unitaria. La
politica italiana, con Giolitti, seppur con molte ambiguità e contraddizioni, invertì
rotta e si aprì a riforme più democratiche e liberali. L’obiettivo principale
della politica giolittiana fu quello di conciliare la borghesia liberale con
l’ideologia socialista, che produsse la prima vera ed organica legislazione del
lavoro, la quale estese maggiori tutele delle donne e dei fanciulli in
fabbrica, ricostruì le organizzazioni operaie e contadine, diede più garanzie ai
lavoratori per la vecchiaia. Questa situazione di relativo miglioramento delle
condizioni sociali ed economiche durò pochi anni, essenzialmente per due motivi:
primo perché il debole e corrotto stato liberale andò in crisi e poi perché gli
stati europei iniziarono a preparare il terreno e le condizioni che li
avrebbero condotti dentro una terribile guerra, che durò quattro anni e in
Italia fece diverse centinaia di migliaia di morti, generando distruzione,
miseria e nuove sommosse popolari.
Un evento fondamentale che mutò il corso della storia
nel Novecento e condizionò gli eventi politici in Europa e in molte parti del
mondo fu dato dallo svolgersi, nel 1917 in Russia, della cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre, guidata da Lenin
contro l’impero zarista. Una delle conseguenze generate dallo sviluppo del
comunismo in Unione Sovietica fu la nascita, su scala mondiale, di numerosi
partiti di matrice marxista e rivoluzionaria, tra i quali, in Italia, il
Partito Comunista d'Italia, nato a Livorno il 21 gennaio 1921. Come
“contraltare” all’espandersi delle idee rivoluzionarie, nacquero movimenti e
forze, promosse e finanziate dalla borghesia conservatrice e da una parte della
classe industriale e agraria che tendevano a contrapporsi al “pericolo rosso”.
Fu così che in Italia, a partire dal 1922, cominciò a prendere piede il fascismo.
Negli anni a cavallo fra l’Ottocento ed i primi
decenni del Novecento, il movimento patriottico, che creò il Risorgimento,
lasciò lentamente il passo, soprattutto dopo il 1919, ad un imperialismo
totalitario ed al formarsi dei germi che condussero alla ventennale dittatura
fascista. Dentro quel periodo, nell’aprile 1924 si tennero le prime elezioni
nell’era fascista. A tale riguardo è utile ricordare che il “Listone”,
un'alleanza politica di destra ideata
e presieduta da Mussolini, nella quale confluirono alcuni liberali e scaglioni
di opportunisti, tra cui arrivisti del campo socialista e popolare, si presentò
alle elezioni di quell’anno. Su scala nazionale, il “Listone” e una seconda
lista fascista raggiunsero complessivamente il 65% dei voti, mentre nessuno degli
altri partiti, frammentati in sette liste diverse, superò il 10%.
Per capire
fino in fondo quali fossero le peculiarità
e le tradizioni storiche delle genti brianzole, è fondamentale annotare che qui
in Brianza il fascismo non riuscì a sfondare ed ottenere risultati
significativi, anzi subì una pesante sconfitta, perché ottenne solo il 18,7%
dei voti. La connotazione antifascista del voto in Brianza fu talmente evidente
da scatenare la violenta reazione del regime, tesa a colpire il radicato
associazionismo cattolico e socialista, che caratterizzava il tessuto sociale di
questo territorio. Le elezioni del 1924 segnarono dunque, anche e soprattutto
in Brianza, la fine della legalità e l’inizio della dittatura. I
fascisti cominciarono a mettere gli occhi su questa terra, generando terrore e
operando ritorsioni che colpirono molti antifascisti e circoli, sia cattolico-popolari
sia socialisti e comunisti. La repressione, che sconfinò nell'uccisione e
persino nella deportazione nei lager nazisti di molti brianzoli, si protrasse
per tutto il ventennio, fino ai giorni della Liberazione.
Liberata l'Italia, nel secondo dopoguerra,
esattamente nel gennaio 1948, entrò in vigore la nuova Costituzione
repubblicana e in aprile, tra paure pressanti e polemiche sempre più aspre, si
giunse alle prime elezioni politiche libere dopo la caduta del fascismo. Il 18
aprile 1948 la Democrazia cristiana ottenne il 48,5% dei consensi, mentre il
Fronte Popolare, formato dal Partito socialista e dal Partito comunista, si
fermò al 31%. Tutte le altre formazioni politiche sparirono nel gorgo di uno
scontro effettivamente bipolare. In sostanza l'elettorato individuò nella Dc
l'unica vera "diga" anticomunista e concentrò su di essa tutte le
proprie energie. Non si trattò solo di consenso filoclericale, ma di voti delle
più diverse origini, che non avrebbero mancato di pesare sul futuro del partito
scudocrociato. Dal canto loro, i partiti del Fronte accusarono la Dc di aver
vinto grazie all'influenza americana, all'ingerenza illecita del Vaticano e del
clero e alle intimidazioni continue di governo e industriali. Nel 1949 gli
iscritti ed i simpatizzanti del Pci e dei movimenti di matrice marxista furono
scomunicati da Pio XII, il quale mobilitò, già a partire dal Referendum sulla
forma dello Stato del 1946, tutte le strutture della Chiesa cattolica, che
entrarono nello scontro politico. In quell’anno venne reso pubblico, attraverso
la stampa e l’affissione di manifesti, oltre a volantini distribuiti nelle chiese
italiane, l’Avviso Sacro sul quale vennero presentati i punti salienti della
scomunica. Sul piano dell’anticomunismo non ci si
limitò a combatterne l’ideologia, ma attraverso la scomunica si volle agire
sulle coscienze dei singoli cittadini, emarginando chi aderiva a quel partito. Attraverso
il ricorso ad una campagna moralizzatrice di stampo medievale, si tentò di tornare
ad uno Stato confessionale, limitando o contrastando
quelle innovazioni di stampo laico che la Costituzione del 1948 aveva
introdotto.
Volantino sulla scomunica distribuito nelle chiese di Udine
Eppure la crociata ordita dai vertici della Chiesa contro
il Pci mal si conciliava con il tentativo di quel partito di darsi una forma e
una struttura più aperta e democratica, tanto da far dire a Togliatti che i
comunisti dovevano “vincere il loro isolamento, inserirsi in modo attivo nella
realtà politica e sociale, avere iniziativa, diventare un effettivo movimento
di massa”. Ancora più ingiustificata fu la decisione di scomunicare gli
iscritti al Partito comunista a fronte, invece, delle aperture di quel partito,
che votò a favore dell’introduzione dell’ art. 7 nella Costituzione
repubblicana, ossia l’inserimento dei Patti Lateranensi, perché volle mantenere
e perseguire la pace religiosa nel Paese e riconoscere non solo la legittimità,
ma il radicamento profondo che la Chiesa e la religione cattolica avevano nella
storia italiana e nell’esperienza della grande maggioranza del popolo. Questa
posizione del Pci trovava i suoi fondamenti nelle radici lontane e nella
cultura che provenivano da Antonio Gramsci, già nel primo dopoguerra, che si
sarebbero spinte fin nelle illuminate elaborazioni e nelle proposte di Enrico
Berlinguer.
Alcuni storici fanno risalire ai primi anni del secondo
dopoguerra la nascita di quel clima che verrà appunto definito Guerra Fredda,
ossia un conflitto politico e ideologico tra i blocchi occidentale e orientale,
guidati rispettivamente da Stati Uniti e Unione Sovietica. In realtà le sorti geopolitiche
dell’Europa vennero già definite dagli accordi di Yalta del 1945; qualsiasi
“deviazione” non sarebbe stata ammessa e tollerata dalle grandi potenze,
firmatarie degli accordi. Oltre alla volontà di affermare la propria egemonia
su scala planetaria, Usa e Urss incarnavano modelli politici, sociali ed
economici opposti. L'egemonia degli Usa sull'Europa occidentale, già
solidamente impostata negli anni precedenti, fu rafforzata dall'attuazione del Piano
Marshall. I princìpi esposti nella dottrina Truman contribuirono a
creare negli Usa un clima di isterismo anticomunista che portò all'esplosione
del maccartismo e condizionò pesantemente le scelte di politica estera,
oltre che interna, statunitense. Questa politica produsse, in Europa, la
"cortina di ferro", cioè la linea di separazione che dal Baltico
all'Adriatico divideva i due blocchi irrigidendo le posizioni. Contemporaneamente,
la politica dell'Urss consistette nell'accentuare la subordinazione dei paesi
dell'Europa orientale, privandoli delle libertà fondamentali e trasformandoli
in satelliti della propria strategia economica, politica e militare che culminò
con violente repressioni in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.
In Italia questo stato di cose portò un insieme di forze e
istituzioni a far nascere la cosiddetta Conventio ad excludendum, ossia quella
regola tacita, falsa e opportunistica, secondo cui l'Italia del dopoguerra era
una democrazia bloccata perché l'alternanza al governo era di fatto impossibile
a causa della presenza nel sistema politico del più forte partito comunista
d'occidente.
Per quanto riguarda la "Grande Storia" mi
fermo qui, mentre, nella seconda parte, cercherò di descrivere, se così si può definire, la "piccola
storia", quella del borgo e del paese, quella degli umili, di coloro ai
quali il fato assegna una vita carica di fatica quotidiana, di miseria,
sofferenza, dolore. "Genti meccaniche e di piccol affare", avrebbe
detto il Manzoni.
Proseguirò, dunque, con la ricerca storica e
sociologica degli eventi locali, sui quali, negli ultimi trent’anni, sono stati
scritti molti libri che hanno avuto il merito di analizzare e raccontare la
storia della Brianza e la condizione della sua gente. Non vorrei quindi
dilungarmi oltre il dovuto, se non per fissare pochi aspetti che ritengo
abbiano avuto grande significato nel tracciare gli eventi storici, sociali e
politici di Verderio Superiore ed i cambiamenti avvenuti negli anni Quaranta e
Cinquanta del Novecento.
Beniamino
Colnaghi
Fine prima parte. La seconda parte verrà
postata intorno alla metà di aprile p.v.
Bibliografia e sitografia
Verderio, la storia attraverso le immagini e i
personaggi, a cura della Biblioteca intercomunale di Verderio, novembre
1985.Verderio. La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano. 1902-2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa, a cura della parrocchia di Verderio Superiore, luglio 2002.
Giulio Oggioni, Quand sérum bagaj, Barzago, Casa Editrice Marna, 2004.
Giulio Oggioni, Verderio. 1940-1945. Ricordi, immagini e testimonianze nel diario di cinque anni di guerra, Cornate d’Adda, A. Scotti Editore, 2008.
Archivio storico del Comune di Verderio.
Archivio del giornale Il Resegone di Lecco.
Denis Mack Smith, Storia d’Italia 1861-1969, Bari, Laterza, 1972.
Enciclopedia libera on-line wikipedia.org
Cronologia on-line cronologia.leonardo.it
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