Qualche mese fa, mentre stavo ricostruendo la
storia di mio nonno paterno(1), morto a 41 anni sul
carro trainato da Nino, il cavallo di
famiglia, mi imbattei in una categoria di lavoratori che oggi non esiste più: i
cavallanti, o carrettieri, come dir si voglia. Mi incuriosì l’essenza romantica,
seppur dentro una vita di stenti e privazioni, di quel mestiere, il rapporto
intenso tra l’uomo ed il suo cavallo, l’uscire dallo stretto ambito del
villaggio per scoprire realtà e mondi diversi. Spiriti liberi? Esseri alla ricerca
di indipendenza? Nomadi? Oppure, più semplicemente, persone mosse dal bisogno e
dalla necessità di far quadrare i bilanci familiari?
Partiamo da uno dei due attori principali: il cavallo. Possiamo
affermare che senza il contributo del cavallo il corso dell'evoluzione e della
storia dell'uomo sarebbero stati sicuramente diversi? Probabilmente sì. Fra i
molti animali domestici che hanno affiancato l'uomo nella sua evoluzione e
nella storia, il cavallo ha avuto indubbiamente il ruolo di protagonista. Pensiamo
a tutte le attività in cui il cavallo ha affiancato l'uomo: il lavoro nei
campi, il trasporto di persone e cose, la compagnia negli spostamenti e nei viaggi,
la partecipazione alle guerre e alle conquiste, la salvezza di vite umane, la fedeltà
in campo sportivo e ricreativo.
Il cavallo radunava attorno a sé un fitto sciame di persone
per la sua cura. Dal maniscalco al sellaio, dal cavallante al manovale addetto
alla pulizia della stalla, questi animali offrivano ed esigevano lavoro. Nei
borghi contadini, fino agli anni Sessanta, i cavalli erano innumerevoli. Ogni
famiglia che lavorava la terra ne aveva uno. In ogni corte e nelle cascine se
ne contavano più d’uno, a seconda delle esigenze e delle dimensioni del luogo.
Ma chiunque poteva permetterselo investiva nell'acquisto di un cavallo.
In ogni caso, una volta
acquistato, il cavallo non era più un animale qualsiasi, ma diventava parte
della famiglia, membro di una comunità. Gestire un esemplare richiedeva tempo e
fatica. I coloni si dovevano occupare anche di questi animali, accudirli,
pulirli, tenerli in buona salute perché i cavalli erano fonte di lavoro e
guadagno per le misere entrate delle famiglie contadine. La giornata iniziava
presto, quando le stalle venivano aperte per la pulizia quotidiana e per
rifornire gli animali di acqua e cibo. A mezzogiorno il lavoro si fermava: i
cavalli, con le loro cuffie di tela e i salariati con i cappelli di paglia
uscivano dai campi e si riposavano per poi affrontare il sole del pomeriggio.
La stessa piccola processione ogni sera ritornava alla corte ed alla cascina.
Ogni lavoro a contatto
con i cavalli richiedeva attenzione ed esperienza nel prevedere le azioni e le
intenzioni di questi animali, con cui spesso si dovevano trascorrere, come nel
mestiere del cavallante, molte ore a contatto con l’animale stesso. Carri e
cavalli trasportavano ogni genere di merci. Alcuni facevano il carrettiere di
professione, altri lo svolgevano saltuariamente, mentre altri ancora prestavano
o affittavano a pagamento i loro cavalli. Era raro vedere un cavallante viaggiare
da solo per lunghi tragitti. Di solito preferivano spostarsi con due carri, o
anche più, qualora il caso lo richiedesse, accompagnati da qualche garzone, per
sentirsi più sicuri e per aiutarsi a vicenda nelle salite aumentando il tiro
con i cavalli dell'altro. I comuni della Brianza e le poche aziende private
allora presenti commissionavano il trasporto di ogni tipo di materiale o
prodotto finito. Alcuni viaggi erano più legati alla stagione, come il
trasporto del carbone. Durante tutto l'anno, invece, i carri si dirigevano
verso i mulini carichi di granaglie per tornare con la farina per i fornai o
facevano la spola fra le cascine e i mercati per raccogliere e vendere i
prodotti dei campi. Per i lunghi viaggi, che richiedevano di stare più notti
fuori casa, erano a disposizione gli alberghi con stallazzo, locande fornite di
stalle e di personale addetto alla cura dei cavalli. In alcuni comuni della
Brianza milanese, Meda, Cantù, Lissone i cavallanti cominciarono ad occuparsi
anche del trasporto dei mobili. Stiamo parlando della seconda metà
dell’Ottocento. In quel distretto industriale divennero sempre più numerose le
botteghe che producevano manufatti d’arredamento, venduti poi in tutta Italia e
in Europa. Si racconta che i carri, carichi di fusti di salotti, partivano ogni
giorno da quella parte della Brianza alla volta di Milano. Divenne famoso un cavallante
di Meda, un certo Angelo Bianchi, detto Buscan,
classe 1915, che, insieme al suo cavallo Piero, comparve nel film di Ermanno
Olmi Il posto, ambientato a Meda nel
1961. Un altro personaggio balzato alle cronache locali, si fa per dire, è
stato Luigi Cappellini, detto Bulogie,
contadino e cavallante. Abitava alla casine
Famète di Meda e la sua principale abilità consistette nell’aver messo le
ruote gommate al suo carro. Caratteristica, questa, che gli avvalse il
soprannome di Liturina, Littorina, proprio
come il treno.
Luigi Cappellini con il suo cavallo
Certo, occorrerà
anche discernere, distinguere tra cavallanti e cavallanti. Nella categoria ci
saranno pur stati dei furfanti e degli irresponsabili se, nei primi decenni
dell’Ottocento, precisamente il 28 maggio 1822, a Torino, capitale
del Regno di Sardegna, si manifestò l’esigenza di pubblicare il “Manifesto
senatorio portante proibizione ai carrettieri, e cavallanti di caricare i loro
carri, e bestie da soma, e porsi in viaggio ne' giorni festivi”. Anche la Chiesa fu contraria, negli
ultimi secoli, al lavoro svolto la domenica, giorno che invece doveva essere dedicato
al Signore. Oppure se nel Canton Ticino, in Svizzera, il “Piccolo Consiglio” fu
costretto a regolamentare il lavoro dei cavallanti emanando il decreto “Custodia
delle bestie da soma e da tiro sulle strade pubbliche(2), che così recitava:
“Informato che dei cavallanti e carrettieri
abbandonano spesso sulla strada le bestie da soma, e i carri che hanno in
condotta, in modo, che talvolta da tale trascuranza la mercanzia loro affidata
si guasta o perisce, e ne nasce pure, tra gli altri inconvenienti, quello di
ritardare la corsa ai Corrieri, ed il cammino a’Viandanti;
Decreta
1.
Ogni
Cavallante e Carrettiere è tenuto di accompagnare costantemente sulla strada le
bestie da soma, o carri che ha in condotta.
2. Chiunque contravverrà ad un tale ordine sarà
multato nella pena di 10 franchi (ossiano lire venti quattro Cantonali) per
ogni volta…
3. Saranno pure tenuti i Cavallanti, e i
Carrettieri ad indennizzare i proprietari per le robbe, o merci che saranno
guaste, o perdute per qualunque causa…
4.
E’
proibito sotto la stessa amenda di 10 franchi a qualunque Cavallante o
Carrettiere di ritardare la corsa de’Corrieri, ovvero de’passeggeri a cavallo o
in vettura…
Bellinzona, 11 Dicembre 1812
Lasciamo la Svizzera e trasferiamoci
ora nella Brianza lecchese e vediamo com’era la situazione del trasporto merci a
Verderio Superiore. Anche nel piccolo borgo brianzolo si registrò l’esigenza,
almeno fino ai primissimi anni Cinquanta, di utilizzare i carri trainati dai
cavalli per il trasporto e la movimentazione di merci di qualsiasi tipologia. Quando
il lavoro dei campi lo consentiva, i coloni, al fine di incrementare le già
magre disponibilità economiche familiari, occupavano il tempo residuo a loro disposizione
fornendo le sopraccitate prestazioni. Erano almeno un ventina i residenti che,
regolarmente o saltuariamente, svolgevano il mestiere di cavallante. Felice
Colnaghi me ne ha elencati alcuni. Il coordinatore era Marco Gariboldi, Marcu de l’Irolda, colui che spesso
riceveva le richieste e gli ordini e li girava ai singoli contadini. Poi c’erano i coloni che
abitavano nelle corti del centro storico: Aquilino e Mario Colombo, dei Benedétt; Guido e Rinaldo Frigerio, dei Custònt; Giuseppe Colnaghi, dei Barbìs; Vincenzo Oggioni della corte
dei Fredich; Angelo Oggioni, dei Beloeusch; Luigi Viganò, dei Peregài. Alcuni cavallanti abitavano invece
nelle cascine di Verderio Superiore, come Battista Villa, dei Pelòt, o Romeo Frigerio della cascina La
Salette.
Marco Gariboldi è il primo a sinistra (fonte Giulio Oggioni)
Le attività erano tra le più varie, come pure
diverse tra loro erano le località che dovevano essere raggiunte dai carri. Milano
era una meta abituale e ambita, una metropoli che attirava i poveri contadini delle
aree rurali lombarde, curiosi e desiderosi di vedere cose nuove e gente che
viveva, bene o male, in maniera diversa rispetto alla loro. A Milano, i
cavallanti verderiesi trasportavano sabbia scavata nelle cave di Porto d’Adda,
cemento dallo stabilimento Italcementi di Calusco d’Adda, carbone scaricato dai
vagoni dei treni merci arrivati alla stazione FS di Paderno-Robbiate, mattoni
fabbricati nelle fornaci di Trezzo d’Adda e Ronco Briantino. Questi materiali,
naturalmente, venivano trasportati e distribuiti anche in molti altri comuni,
ovunque se ne registrasse l’esigenza e laddove vi fosse richiesta. Dalla
fonderia Rossi di Calusco d’Adda, ad esempio, venivano prelevati e portati alle
varie destinazioni le fusioni e gli stampi, come pure alla ditta Frigerio di
Paderno d’Adda i cavallanti consegnavano le materie prime volte alla produzione
del sapone e dei detersivi. Durante gli anni della seconda guerra mondiale i carri
trainati dai cavalli vennero impiegati per il trasporto di mobili e arredi
degli sfollati, famiglie costrette a lasciare le proprie abitazioni, che da
Milano, Monza e dai centri industriali del Nord sfuggivano ai bombardamenti,
trasferendosi nella più tranquilla e sicura Brianza.
Sfollati nella Milano bombardata del 1943
Nei viaggi più lunghi, per i quali i
cavallanti impiegavano tutta la giornata, nasceva la necessità, un po’ come avviene
oggi durante lunghi viaggi in auto, di effettuare alcune soste intermedie per
far riposare cavallo e conduttore, rifocillarsi e adempiere a naturali bisogni fisiologici.
Quando i carri si dirigevano a Milano, una delle mete più frequentate dai
verderiesi era un’osteria situata in località Sant’Albino, un piccolo borgo vicino Monza. Lì insisteva
un’osteria/trattoria di proprietà della famiglia Pozzoni di
Verderio Inferiore ma, probabilmente, originaria di Robbiate. Era gestita da
Agostina Pozzoni, detta Gustina, la
quale era una brava cuoca e sapeva cucinare i piatti della tradizione
brianzola. Agostina aveva due sorelle:
Celeste, detta Celestra, che
possedeva anch’essa una trattoria in via Papa, a Milano, e Giuseppina, sposatasi
con Alessandro Riva, Sonder, di Verderio
Superiore.
Carrettieri, vestiti elegantemente per l'occasione, trasportano una campana presso una chiesa brianzola
Che dire, per
concludere? Un mondo scomparso. L’abbandono e la fine del trasporto
delle merci ad opera dei cavallanti e dei carrettieri sono dipesi da vari
fattori. Il primo, a mio avviso, fu dovuto al rapido mutamento socio-economico
verificatosi nell’Italia del dopoguerra, quando il repentino cambiamento del
modello di sviluppo, soprattutto nel Nord-Ovest del Paese, causò diversi problemi,
tra cui l’abbandono progressivo delle campagne e la trasformazione delle
destinazioni d’uso delle stalle di corti e cascine, dalle quali vennero espulse
mucche e cavalli per far posto ai primi esemplari della Vespa e della Fiat 600.
La famosa mutazione antropologica di pasoliniana memoria, un fenomeno descritto
da Pasolini che riguarda i cambiamenti profondi verificatisi con l'avvento
della società dei consumi. Qui però mi fermo, altrimenti il ragionamento mi
porterebbe troppo lontano.
Beniamino Colnaghi
Note
1.Vedasi il post “Begnamen di Barbiss, mio nonno”
pubblicato il 3 gennaio 2014
2.Compendio
del bullettino officiale del cantone ticino, Volume 1, Lugano, 1826.
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