Verderio Superiore, 18 agosto 1941. Quel giorno faceva molto caldo. Considerata la stagione, non avrebbe potuto essere diversamente. Allora, il ciclo naturale delle stagioni era regolare e in estate il caldo si faceva sentire. La giornata volgeva al termine. I contadini stavano rincasando, dopo aver trascorso una dura giornata nei fondi da essi coltivati.
Dalla Strada consorziale detta ai Maggioli, in fondo alla quale i Colnaghi lavoravano dei terreni dati loro in affitto dalla famiglia Gnecchi Ruscone, sopraggiunge un carro trainato da un cavallo. Il mezzo è condotto da Giuseppe Colnaghi, a fianco del quale è seduto il più piccolo dei suoi quattro figli, Felice, che non ha ancora compiuto dodici anni. In località Saruchen, l’area adiacente l’attuale intersezione presso la cappella di San Rocco, incrociano mio nonno Beniamino in sella alla sua bicicletta, il quale, probabilmente, sta provenendo dalla stazione ferroviaria di Paderno-Robbiate. In quel tempo di guerra e povertà, molti contadini, oltre il lavoro dei campi, svolgevano l’attività di cavallante, ossia trasportavano materiali di ogni tipo: dalla sabbia ai generi alimentari, dai mattoni al carbone che a volte venivano portati fino a Milano. Mio nonno era uno di questi.
Una bellissima foto scattata nell'estate del 1930 in località Saruchen a Verderio Superiore. Ambrogio Colnaghi, detto Bös, con alcuni nipoti. |
Giuseppe, detto Pen del mocc, e Beniamino, Begnàmen, erano fratelli ma, per espressa ammissione dei loro stessi figli, alcuni dei quali tuttora viventi, erano molto diversi fra loro, sia nell’aspetto fisico sia dal punto di vista caratteriale. I loro genitori, Felice e Maria Letizia Brivio, ebbero otto figli. Giuseppe nacque il 6 giugno 1892, Beniamino il 24 aprile 1900.
Beniamino Colnaghi |
Giuseppe ordina al cavallo di fermarsi e dice a Beniamino che l’indomani sarebbe dovuto partire alla volta di Bergamo, a ritirare un carico di formaggio e generi alimentari per conto della ditta Mattavelli di Sulbiate. I commercianti in questione avevano un deposito presso la Baita di via Sernovella, oggi “Ristorante da Remo”, e si avvalevano dei carrettieri locali per il trasporto della merce. Il prolungarsi dei lavori nei campi, però, non avrebbe consentito a Giuseppe lo svolgimento del trasporto già programmato. Era intento, come la maggior parte dei coloni, al taglio della stoppia, stubia, i residui di erba e steli di cereali rimasti sul terreno dopo la mietitura del grano. Fu per quel motivo che chiese a suo fratello di sostituirlo in quel trasporto.
“Va bene, vado io“, rispose prontamente mio nonno. Era sempre disponibile quando si rendeva necessario usare il “suo” cavallo, perché nutriva un grande affetto per quell’animale.
Lo avevano chiamato Nino, il cavallo. A dire il vero, mi ha riferito il signor Felice Colnaghi, avevano chiamato Nino anche il cavallo precedente, un bell’esemplare di razza ungherese. Ed anche quello successivo fu chiamato Nino, il quale morì a Saronno dopo aver trasportato un carico di cemento. Partì da Verderio il 5 luglio 1946 a mezzanotte, insieme ad una carovana composta da ben undici carri trainati da cavalli.
Eh, i cavalli, ci sarebbe da scrivere un bell’articolo sui cavalli. No, non quelli di oggi, che spesso vediamo passeggiare sui viottoli di campagna, viziati e ben spazzolati, ma quei cavalli di una volta, quelli che erano in tutte le corti e cascine, in ogni famiglia. Erano l’automobile che portava la comitiva in gita, erano i piccoli Tir che trasportavano la sabbia, i mattoni e il fieno, erano i trattori che aravano i campi. I cavalli, forse più delle mucche e dei maiali, hanno rappresentato il sostentamento dei poveri contadini.
Nino, quello di mezzo, era stato acquistato da una famiglia di Paderno che viveva alla cascina Maria, la quale aveva dei terreni nelle adiacenze della cascina Brughèe, che si raggiunge percorrendo l’attuale via Fornace, in direzione Porto d’Adda. Quindi, il cavallo conosceva bene la strada che portava alla cascina Brughèe, perché c’era stato molte altre volte con i vecchi proprietari e, dopo averlo acquistato, c’era andato anche con i Colnaghi, che lavoravano alcuni terreni in quella zona.
Dopo la breve parentesi sui cavalli, riprendo dunque il racconto.
Mio nonno Beniamino entra in cortile, subito raggiunto da Pen e Felice, i quali depositano il carro sotto uno dei portici che la famiglia Colnaghi aveva in affitto e conducono il cavallo nella stalla.
Nella corte erano presenti due ceppi Colnaghi, i cui antenati originariamente provenivano dalla cascina Casa Nuova di Verderio Inferiore e, prima ancora, dal piccolo borgo di Colnago: l’uno denominato Barbìs, baffi, dal quale avevano estrazione i due fratelli, l’altro chiamato Penàgia, dall’attrezzo a stantuffo che serviva per produrre il burro.
Via Angolare. Il portico d'ingresso che conduce nella corte, visto da piazza Roma (foto di Giulio Oggioni). |
Non appena mio nonno scende dalla bicicletta, che appoggia ordinatamente al muro, sua figlia Letizia Stefanina, di soli due anni, esterna la gioia e l’emozione nel vedere suo padre nascondendosi nella stia, la gabbia di legno chiusa da una rete metallica o da sottili aste di ferro, utilizzata per il trasporto e l’allevamento di pollame. Begnàmen si lascia andare ad un tenero e dolce sorriso e si dirige verso la gabbia, dalla quale estrae sua figlia e se la porta in braccio, baciandola amorevolmente. Dopo aver avuto mio padre nel 1927, i miei nonni “perdono” due figli quando entrambi avevano poco più di un anno: Luigi nel 1930 e Letizia nel 1933. Questi gesti di tenerezza e dolcezza verso sua figlia si possono spiegare col fatto che Beniamino avesse un buon carattere e amasse la sua famiglia. Era sostanzialmente un uomo buono e pacato, così perlomeno mi è stato descritto da chi lo ha conosciuto.
Nel frattempo, sua moglie Clelia, detta Scighera, classe 1904, con la quale contrasse matrimonio il 30 gennaio 1926 a Verderio Superiore, lo stava attendendo per servire la cena. Mio nonno, così mi è stato riferito, non se la sentì di mangiare, dicendo che non aveva fame. La cosa parve alquanto strana a mia nonna, considerato che Beniamino era "una buona forchetta", ma così avvenne.
La sera mio nonno andò a dormire molto presto, "con le galline", come si usava dire all’epoca. Del resto, i contadini svolgevano attività fisicamente faticose, vivevano per e con la terra, seguendo i ritmi e le cadenze regolari delle stagioni ed avevano necessariamente bisogno di riposare per recuperare le forze. Salì le scale di granito che conducevano al piano superiore, ove avevano sede le camere da letto, fece pochi metri sul ballatoio a ringhiera e si diresse nella sua stanza, la prima a destra. Si svegliò verso le tre del mattino, si vestì in camera e scese a prendere il caffè.
Giorno di bucato in corte dei Colnaghi (fonte Giulio Oggioni) |
E’ il 19 agosto 1941. La seconda guerra mondiale è in corso ormai da due anni, l’esercito tedesco ha invaso e occupato la Polonia, la Cecoslovacchia, la Scandinavia, l’area meridionale dell’Unione Sovietica ed il 19 agosto l’11a Armata tedesca è già sulle coste del Mar Nero e in Crimea. L’Italia fascista è in guerra da oltre un anno e partecipa attivamente alle azioni di aggressione a fianco dell’esercito nazista.
Begnàmen entra nella piccola stalla, stalén, dalla quale fa uscire il cavallo per poterlo agganciare e legare al carro. Nel frattempo, il cortile inizia ad animarsi. Le regiùre, le donne di casa, sono già attive perché devono preparare la colazione per i propri mariti che stanno andando al lavoro. Anche Fulvia è sveglia, ha 19 anni, si sta alzando e sente tutto ciò che sta avvenendo in quei momenti in cortile. E’ la primogenita di Giuseppe e Angela Colnaghi. Mio nonno, contrariamente al solito, non riesce ad imbrigliare e legare il cavallo al carro; Nino sembra nervoso, irrequieto, forse “sente” qualcosa o “capisce” che mio nonno non sta bene. Alcune razze di animali hanno sensazioni straordinarie e possono prevedere gli eventi molto prima degli esseri umani. Al terzo tentativo riesce ad agganciarlo ai finimenti, si porta lentamente verso il grosso portone di legno che chiude il cortile, alza i catenacci e la grossa sbarra che assicura la chiusura. Il portone è aperto. Esce in contrada con il carro, si ferma, scende e ritorna sui suoi passi. Richiude il portone ed esce dalla porticina pedonale che assicura a chiave dall‘esterno. Fulvia sente le mandate della chiave.
Le campane non hanno ancora rintoccato le 4 del mattino. E’ ancora buio pesto.
“Ua”, dice al cavallo, vai Nino, e parte per Bergamo, ma a Bergamo non ci arriverà mai, si fermerà molto prima. Il carro lascia l’abitato di Verderio Superiore, supera la salita del Genasa, si dirige verso la località denominata Padernen, passa davanti al “Dopolavoro Viscardi“, gestito da Cecilia Colnaghi, sorella di mio nonno, prosegue verso l’abitato di Paderno d’Adda. In corrispondenza del ponticello sulla ferrovia, anziché andare diritto, verso il ponte San Michele, il cavallo prende la strada sulla destra, dirigendosi verso le cascine Assunta, Lazzarona, Fornace e Brughèe. Una strada conosciuta, come già accennato.
Nino è ormai senza guida. Mio nonno è steso sul pianale del carro, già cadavere. Il cavallo entra nella cascina Brughèe e si ferma sotto il portico di un’abitazione. E’ ancora buio. Per farsi sentire comincia a battere gli zoccoli contro il selciato, una, due, tre volte, finché una donna già sveglia esce di casa per capire da dove provenissero quei colpi. Si rende conto che sul carro c’è il cadavere di un uomo, ma non ne conosce l‘identità. Chiama gli uomini del cortile, che accorrono e intuiscono la tragedia. Si tratta sicuramente di un cavallante. Uno di questi inforca la bicicletta e va "come un fulmine" alla cascina Airolda, da Marco Gariboldi, Marcu de l’Irolda, che coordina i cavallanti e dovrebbe conoscere il nome di quell‘uomo. “L’è Begnàmen di Barbìs“, dice Marco, oggi aveva in programma un ritiro di generi alimentari a Bergamo.
Qualcuno viene incaricato di recarsi in paese a dare la triste notizia ai parenti. Bussa al grosso portone. Angelo Colnaghi, Angiulot di Penàgia, classe 1901, che sta regolando le mucche nella stalla vicina, viene subito informato. La notizia trapela immediatamente tra i parenti più stretti, uno dei quali si incaricherà di informare sua moglie.
Angelo Colnaghi in cortile (fonte Giulio Oggioni) |
Il corpo rimane per alcune ore presso un’abitazione della cascina Brughèe, in attesa del nulla-osta alla rimozione da parte del medico e del magistrato di turno. Nel pomeriggio dello stesso giorno è adagiato su una scala a pioli di legno e portato a casa, accompagnato da alcuni parenti, tra cui sua sorella Cecilia, Cia, e suo fratello Giuseppe. Viene seppellito nel cimitero di Verderio Superiore, ove attualmente riposa.
Un’antica filastrocca tramandata dai contadini dell’Appennino emiliano recita che “la vita di un uomo è lunga quanto la vita di tre cavalli…”. Purtroppo, mio nonno si è fermato prima, anzi, metaforicamente, è stato sepolto da un suo cavallo, anche se, Nino, non lo ha abbandonato in mezzo alla campagna o ai bordi di una strada, come noi esseri umani usiamo spesso comportarci con gli animali diventati improvvisamente ingombranti.
Beniamino Colnaghi
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