sabato 9 febbraio 2013

Città di Sesto San Giovanni: medaglia d’oro al valor militare per la lotta di Liberazione.

Per tutto l’Ottocento Sesto San Giovanni fu un borgo rurale e un luogo di villeggiatura delle classi abbienti milanesi, che arrivò a contare non più di 5000 abitanti.
Dal 1840 il borgo fu attraversato dalla seconda linea ferroviaria italiana, la Milano-Monza, destinata ad allungarsi sino al confine svizzero e a collegarsi, dal 1882, con il centro Europa attraverso la galleria del San Gottardo. Dai primi anni del Novecento Sesto San Giovanni divenne quindi centro dell’asse Greco-Niguarda-Monza, percorso dalla linea ferrovia internazionale, da una tramvia elettrica interurbana e dal grande stradone napoleonico che univa piazzale Loreto alla Villa Reale di Monza.

Tracciato della ferrovia Milano - Monza (1840)

Le vaste aree rurali liberate dalla crisi dell’agricoltura di fine Ottocento furono oggetto dei piani di sviluppo delle società immobiliari che facevano capo agli imprenditori Breda, Marelli, Falck e Pirelli i quali contribuirono a far nascere l’area industriale di Sesto San Giovanni. Fra il 1903 e il 1913 Sesto divenne la città delle fabbriche. Qui si trasferirono nei nuovi stabilimenti costruiti in pochi mesi, aziende grandi e medie dei settori siderurgico e meccanico, chimico e alimentare.
Breda, Pirelli, Falck ed Ercole Marelli si ampliarono rapidamente, raggiungendo rinomanza europea. Secondo il censimento del 1911 gli addetti alle 36 industrie di Sesto San Giovanni erano 6.971, dei quali 6.386 erano operai. Gli abitanti divennero ben presto circa 14.000. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, grazie alla produzione bellica, si costituirono quattro gruppi industriali integrati, Falck, Breda, Marelli, Pirelli, ciascuno dei quali era articolato in più stabilimenti. L’area industriale sestese si dilatò al punto di investire il comune di Milano negli ex comuni di Greco e Niguarda e nei comuni di Cinisello Balsamo e Bresso.
 
Largo La Marmora negli anni Venti

La grande crisi del 1929 interruppe una fase di sviluppo e comportò pesanti licenziamenti. La crisi venne superata grazie alle commesse pubbliche che dal 1933-1934 assunsero un marcato carattere bellico, in preparazione della conquista dell’impero. In quel periodo la popolazione residente era di 35.000 unità. Con il sopraggiungere della guerra le maestranze furono impegnate in uno sforzo massiccio. Nel 1942 le grandi aziende ebbero un notevole incremento di occupati, in gran parte donne e ragazzi a bassa qualificazione professionale. Con i bombardamenti ad opera degli Alleati su Milano, le sconfitte militari, le difficoltà negli approvvigionamenti alimentari e la borsa nera, la fabbrica divenne il centro della sopravvivenza quotidiana, con le mense e gli spacci aziendali. In quel periodo i lavoratori delle fabbriche dell’area industriale di Sesto San Giovanni erano oltre 50.000.
Con lo sviluppo dell’industria Sesto fu investita da una forte ondata migratoria e divenne un grande e ribollente crogiolo. Professionalità, saperi tecnici, culture e concezioni ideologiche e politiche fra loro diverse, ma tutte convergenti sui temi del lavoro, si confrontavano e si arricchivano reciprocamente. Permanevano fra i lavoratori legami professionali e regionali che erano quasi sempre anche politici. L’articolazione sociale della popolazione residente rimase molto semplice. A parte una piccolissima élite di tecnici di fabbrica e di intellettuali dediti alle professioni liberali e un piccolo strato di commercianti, Sesto San Giovanni sarà fino agli anni Sessanta una città operaia, la cui vita sociale e politica si svolgerà essenzialmente intorno alla fabbrica.
 
Cooperativa lavoratori sestesi (1950)
 
A partire dai primi anni Venti del secolo scorso, vi fu un diffuso senso comune antifascista animato dalla forte tradizione socialista e cattolica. Il movimento clandestino organizzava, dalla metà degli anni Trenta, l’infiltrazione nel Sindacato fascista e nei Dopolavoro aziendali, promuovendo vertenze e creando, specie dall’entrata in guerra dell’Italia, una diffusa conflittualità sociale. L’organizzazione clandestina, che aveva contatti anche a Milano, nell’hinterland e in Brianza, operava con una certa continuità, pur fra enormi difficoltà, in città e nelle principali fabbriche, svolgendo un’intensa attività di propaganda. Durante il ventennio numerosissimi militanti vennero arrestati e condannati al confino o deferiti al Tribunale Speciale. Nel frattempo l’organizzazione, composta dai militanti più anziani, alcuni "già passati per le galere fasciste", era rimasta in piedi e continuava il suo lavoro clandestino, che sfociò, il 23 marzo 1943 alle ore 10, nello sciopero partito dal Reparto Bulloneria della Falck Concordia e diffusosi nelle fabbriche sestesi e milanesi.

Sesto San Giovanni, proprio per i grandi scioperi operai e per il forte radicamento dei partiti di sinistra, verrà definita Stalingrado d’Italia. In questo blocco d’acciaio al quale "guardano tutti i lavoratori milanesi quando bisogna scendere in lotta", fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 vi furono manifestazioni, scioperi a scacchiera per la pace, per la liberazione dei detenuti politici, per il ristabilimento delle principali libertà soppresse dal fascismo e per il miglioramento di mense e salari. Nelle grandi e medie aziende vennero elette le Commissioni Interne partendo dalle assemblee di reparto.


Operai si recano al lavoro negli anni Sessanta

Dall’1 all’8 marzo 1944 i Comitati segreti di agitazione del triangolo industriale organizzarono lo sciopero generale. Il sostegno di tutti i partiti del C.L.N. fu unanime e il Partito comunista clandestino vi profuse uno straordinario impegno organizzativo. Le fabbriche furono bloccate, tecnici e impiegati scesero in sciopero al fianco degli operai. Le rivendicazioni erano di natura politica e la svolta nella conduzione delle lotte fu evidente. La repressione nazifascista fu durissima e fu attuata sulla base di precisi elenchi fatti compilare dalle direzioni aziendali, dove figuravano, accanto a noti sovversivi, già confinati o passati per il Tribunale Speciale, lavoratori antifascisti e operai specializzati; 215 lavoratori vennero catturati in fabbrica e a casa, 211 vennero deportati nei Lager nazisti, 163 vi morirono, 2 vennero fucilati al Poligono di Cibeno (Carpi), 5 morirono dopo il loro rientro per le conseguenze della deportazione.

Dopo questa repressione la lotta di massa riprese con grande difficoltà in forme diverse e originali. Si diede vita a un movimento armato che sostituì le preesistenti Squadre di Difesa di Fabbrica con le Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.). Esse avevano sempre come base la fabbrica, però con compiti offensivi. I lavoratori pendolari operavano quotidianamente con azioni di sabotaggio e propaganda in fabbrica e collaboravano alla costituzione e all’attività delle S.A.P. nei paesi della provincia.
Favoriti dall’avanzata alleata e dallo sbarco in Normandia si rafforzarono i legami delle grandi fabbriche con le brigate partigiane della montagna lariana e della Valtellina, verso le quali, attraverso canali clandestini, affluivano viveri, finanziamenti, armi catturate ai nazifascisti, combattenti e quadri di comando. Si attivavano patrocini con i distaccamenti delle Brigate partigiane: la Ercole Marelli, la Magneti Marelli e la Breda con la 55^ Brigata Garibaldi d’assalto Rosselli; la Pirelli con la 52^ Brigata Garibaldi Clerici e la Brigata Valgrande nel Verbano.
Quella di Sesto San Giovanni, grazie alla preponderante presenza di operai e tecnici delle grandi e medie fabbriche, fu una resistenza corale, dalle molte sfaccettature, che faceva riferimento sia ai partiti politici clandestini organizzati in fabbrica e in città, sia al tessuto associativo cattolico.
Il comandante della Brigata Nera, Aldo Resega, in una Relazione riservata del 28 dicembre 1944, scriverà: "altro da far saltare sarebbe il prevosto di Sesto San Giovanni, certo don Mapelli, che tanti danni ha arrecato al governo della Repubblica Sociale Italiana [...]. La parrocchia di Sesto San Giovanni è un formicaio di antifascisti, di ribelli di sabotatori".


Operai di Sesto durante uno sciopero

Oltre allo sciopero generale del marzo 1944, particolarmente significativi furono lo sciopero generale del 21 settembre 1944 che coinvolse Breda, Pirelli ed Ercole Marelli e quello del 23 novembre alla Pirelli Bicocca, dove i nazisti, capeggiati dal capitano delle SS Theo Saevecke, effettuarono 183 arresti. L’intervento della Direzione, peraltro minacciata di deportazione in blocco, valse a far rilasciare 27 operai. 156 lavoratori furono comunque avviati alla deportazione nei lager nazisti.

Su Sesto San Giovanni il comandante della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) della zona scriveva al Comando provinciale: "[...] è una vera maledizione questo centro industriale totalmente sovversivo. Lì sta veramente il cancro della Lombardia. Questa città rossa dovrebbe essere completamente distrutta al di fuori delle industrie con il sistema germanico. La popolazione maschile deportata in Germania".

Il 25 aprile 1945 venne dichiarato lo sciopero generale insurrezionale, le fabbriche vennero occupate dai lavoratori in armi. Entrava in funzione una rete difensiva attentamente organizzata e sufficientemente forte. I partigiani e i patrioti inquadrati nelle diverse brigate furono oltre tremila.
I caduti sui vari fronti della lotta di Liberazione sono stati 325 (in carcere, fucilati, caduti in combattimento e nei Lager nazisti).

Il 17 settembre 1972 il gonfalone della Città di Sesto San Giovanni veniva insignito della medaglia d’oro al valor militare per la lotta di Liberazione.

Beniamino Colnaghi

Fonti sitografiche e fotografiche
Sito web del comune di Sesto San Giovanni, La storia di Sesto - www.sestosg.net - febbraio 2013
Sito web del comune di Cinisello Balsamo, Le pietre raccontano -

 
 

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