lunedì 16 luglio 2012

Perché ancora Gramsci. Il codice genetico della politica

Ho ricevuto dall’amico Ambrogio Biglia questo pezzo sul pensiero di Antonio Gramsci, uomo politico, pensatore e intellettuale del primo ‘900.
Nato ad Ales, in Sardegna, il 22 gennaio 1891, morì a Roma il 27 aprile 1937 a causa di gravi malattie, peggiorate durante il prolungato periodo carcerario cui fu sottoposto dal regime fascista.

Perché il nostro paese ha avuto i più grandi pensatori politici da Machiavelli a Gramsci e una prassi politica che fa schifo? Forse il pensiero politico è come un fiore , nasce se c’è letame.

Per darmi una risposta più convincente mi sono riletto alcuni appunti presi dopo un discorso commemorativo di Mario Tronti , da me rielaborati , e sto leggendo il nuovo libro di Giuseppe Vacca, “ Vita e pensieri di Antonio Gramsci”, Einaudi editore.



Gramsci aveva cercato in Machiavelli il codice genetico della politica e l’aveva collocato nel contesto storico tra Umanesimo e Rinascimento..
Come Machiavelli aveva interpretato la Prima decade di Tito Livio, così Gramsci interpreta Il Principe in modo geniale: il partito politico come moderno principe.
Scrive: “ Il moderno principe, il mito principe, non può essere una persona reale, un individuo concreto; può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva, riconosciuta e affermatasi parzialmente nell'azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico; la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali “ . Quell'aggettivo "totali" fa riflettere. La storia del Novecento ha elaborato progetti universali, ma , per eterogenesi dei fini, ha raccolto regimi totalitari .

Però precisava : "il partito non come categoria sociologica, ma il partito che vuole fondare lo Stato". Fondare lo Stato, non farsi Stato. Gramsci aveva previsto le possibili degenerazioni del partito che si fa Stato, cioè della parte che si fa tutto. E ne aveva sofferto, in carcere, non solo intellettualmente. Il suo problema politico era , nei terribili anni Trenta, come sfuggire alla trasformazione delle masse in folle manovrate e delle élites in oligarchie ristrette.

Il problema di Gramsci è stato la costruzione di un rapporto virtuoso tra classe dirigente e classi sociali. Il mito del partito-principe è l'organizzazione di una volontà collettiva, come l'unica forza in grado di contrastare l'avvento della personalità autoritaria.

Vede il pericolo di una delega diretta al decisore politico, un individuo e non un organismo democratico , da parte di una moltitudine formata dalla gente, dai forti umori antipolitici. Gramsci , insieme a Sturzo , Dossetti e Einaudi, ha contrastato le malattie contagiose delle democrazie contemporanee: l'antipolitica, il populismo. Con la sua vita e la sua opera, ci aiuta a richiamare la politica, alla sua vocazione originaria che, da Aristotele a Weber, è stata collocata tra due splendidi estremi, la passione e la sobrietà.

Scrisse dal carcere fascista: "Io sono un combattente, che non ha avuto fortuna nella lotta pratica". L'insegnamento che Gramsci ci lascia, si può sintetizzare così: come un uomo di parte diventò una risorsa della nazione, senza annullare la propria appartenenza, ma operando nell'interesse di tutti; Gramsci ci dice che la politica si nobilita sollevandosi ad un progetto altamente umano. Il Gramsci giovane è ancora attuale.

Un suo articolo del 1917 comincia con le parole: "Odio gli indifferenti". “Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo”. Poi ci sarà un altro articolo famoso e scandaloso: La rivoluzione contro il Capitale. la rivoluzione dei bolscevichi ", contro il Capitale di Carlo Marx.

“All'individuo capitalista si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio la cooperativa: il sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la libera concorrenza, la obbliga a forme nuove di libertà e di attività”. Ne "L'ordine nuovo", che Gramsci fonda il 1 maggio 1919 , si organizza il gruppo che darà vita al Partito comunista d'Italia, che nascerà non solo contro i riformisti ma anche contro i massimalisti. A Torino c’era il biennio rosso, l'occupazione delle fabbriche, l'esperienza dei Consigli operai. Parte da lì, non da quelli che oggi si chiamano non-luoghi. Gramsci scrive nel 1920: “ L'operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell'uomo, più grande dello schiavo o dell'artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera…

Il fatto stesso che l'operaio riesca ancora a pensare, pur essendo ridotto a operare senza sapere il come e il perché della sua attività pratica, non è un miracolo?”.

Non ci sono due Gramsci. L'operazione di valutare il Gramsci studioso e di svalutare il Gramsci politico è sbagliata. Specialista + politico è la formula gramsciana risolutiva.

Dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e di qui alla concezione umanistica- storica, senza la quale si rimane "specialista" e non si diventa "dirigente". Il modo di essere del politico sta nel mescolarsi attivamente nella vita pratica, come costruttore, organizzatore, persuasore, non solo oratore. Quindi, per Gramsci, il politico è dirigente armato di cultura tecnica, scientifica, umanistica. Qui c'è la preziosa distinzione gramsciana tra direzione e comando, tra guidare e imporre. Questo vale per il gruppo dirigente nei confronti del partito, vale per il partito nei confronti dello Stato, vale per lo Stato nei confronti della società. Egemonia non è solo cosa diversa, è cosa opposta a dittatura. Non c'è pratica di egemonia senza espressione di cultura.

Praticare egemonia è una cosa complessa: vuol dire essere alla testa di un corso storico già in movimento, e che fa movimento anche in virtù delle idee-guida che ci mette dentro.

Scriveva nei Quaderni: “ Il grande politico non può che essere "coltissimo", cioè deve "conoscere" il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli non " librescamente", come "erudizione", ma in modo "vivente", come sostanza concreta di "intuizione" politica “.
Tuttavia - aggiungeva -: "Istruitevi, istruitevi e poi ancora istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza".

Nelle "Lettere dal carcere" scrive al figlio Delio:” Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa “

Oggi non sappiamo con chi e con che cosa sostituire quelle componenti popolari, di matrice cattolica, socialista, comunista più quelle élites di ispirazione social-liberale, che, tutte insieme, componenti popolari ed élites non oligarchiche, hanno fatto la storia del nostro paese: perché non erano società civile, erano società reale, ordinamento storico concreto.

Ci sono pochi, diceva Hölderlin, che sono costretti ad afferrare il fulmine a mani nude .

Ecco, tra quei pochi dobbiamo "cercare ancora" Gramsci.
Ambrogio Biglia

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