martedì 15 aprile 2025

Verderio 25 – 28 aprile 1945. Sono trascorsi 80 anni dalla resa della colonna di militari tedeschi in ritirata verso la Svizzera

L’articolo che viene qui di seguito presentato è la ricostruzione dei fatti avvenuti a Verderio (LC) tra il 25 e il 28 aprile del 1945, attraverso la testimonianza di cittadini, alcuni dei quali hanno vissuto personalmente gli eventi svoltisi in quei drammatici giorni. Venne pubblicato e distribuito alla popolazione nell’aprile del 1986, in un numero speciale di “Verderio oggi”, giornale locale curato dal Gruppo politico Sinistra per Verderio, che in quegli anni rappresentava la Minoranza nei Consigli comunali di Verderio Superiore e Verderio Inferiore.

24 - 25 Aprile 1945: gli alleati varcano il Po e si gettano all'inseguimento dei nazi-fascisti in rotta. In tutti c'è la sensazione che la guerra stia volgendo al termine. Mussolini fugge da Milano la sera del 25 e si ferma a Como. La mattina del 26 il Comitato Nazionale di Liberazione dichiara l'insurrezione generale dell'alta Italia, occupata dall'invasore. Dalle montagne i partigiani scendono a valle e raggiungono le città. Centomila partigiani sono in armi; vengono liberate Modena, Asti, La Spezia, Ferrara, Milano, Genova, Torino, Venezia, Piacenza, Bergamo.
Il giorno 28 Mussolini viene fucilato dai partigiani a Giulino di Mezzegra, piccola località sulle rive del Lago di Como; la sera del giorno dopo viene firmata la resa totale delle truppe tedesche in Italia. È la fine della guerra e l'inizio della riconquistata libertà. L’Italia scrive la Costituzione più bella del mondo e diventa una Repubblica democratica ed antifascista.

Riviviamo quei momenti attraverso la memoria storica dei protagonisti

È nel contesto di questi avvenimenti che vogliamo ricordare un episodio che in quei giorni ha interessato Verderio. Ci auguriamo che questo sia l'inizio della storia e che essa venga arricchita da altre testimonianze verbali, scritte o fotografiche. Questa storia è il riconoscimento ai partigiani e antifascisti di Verderio, che hanno contribuito alla vittoria sulla tirannide nazi-fascista. Abbiamo cercato di ricordare in modo diverso l'anniversario del 25 aprile, ricostruendo l'episodio attraverso la testimonianza di coloro che l'hanno vissuto in prima persona. Non è stato facile: sono passati più di quarant'anni, molte testimonianze sono risultate lacunose, altre contraddittorie. Riteniamo che la ricostruzione cui siamo giunti corrisponda alla realtà dell'accaduto, come è confermato anche dalla documentazione conservata negli archivi parrocchiali dei due Verderio.
Un cippo posto sulla strada che porta alla stazione di Paderno d'Adda è l'unica testimonianza dell'accaduto. Sul cippo è possibile leggere quanto segue:

"QUI UN MANIPOLO DI PARTIGIANI STRONCO' IL 28-4-1945 LA TEUTONICA ARROGANZA COSTRINGENDO ALLA RESA UNA COLONNA GERMANICA IN RITIRATA"


Fortunatamente, a differenza della battaglia di Verderio fra austriaci e francesi, avvenuta il 28-4-1799 (una coincidenza significativa), non c'è stato spargimento di sangue, anche se si è andati molto vicini a uno scontro armato fra i soldati tedeschi e le forze della Resistenza.
Già tra la fine del 1943 e l'inizio del 1944 alcuni cittadini di Verderio svolgevano attività antifascista. Lavoratori, reduci di guerra, renitenti alla leva, avevano costituito un nucleo collegato con la 103° Brigata Garibaldi, che agiva nel Vimercatese. L'attività era, preminentemente, di carattere politico ed informativo e, in misura minore, di sostegno economico e logistico alle formazioni partigiane. I Verderiesi collaborarono anche ad alcuni atti di sabotaggio alle linee di collegamento tedesche. 
Le riunioni clandestine del gruppo si tenevano una o due volte alla settimana alla  trattoria "Baita" o in isolati casolari di campagna. Alle riunioni partecipava in genere un esponente della formazione garibaldina. Ricordiamo alcuni degli antifascisti di Verderio: Carlo Colombo, partigiano che operava in clandestinità e che si può ritenere il responsabile del gruppo; Edoardo Acquati, Giuseppe Frigerio, Mario Nava, Napoleone Ponzoni, Luigi Robbiati, Giovanni Sala, Giuseppe Sala, Carlo Viganò, Giuseppe Villa, Angelo Maggioni. 
Il 19 aprile 1945 una decina di fascisti irruppero nella "Baita", cercando materiale clandestino: volantini, giornali antifascisti, armi. Perquisirono i presenti, rovistarono nei cassetti e misero a soqquadro le camere dei pochi clienti. Non trovando nulla si accontentarono di rubare i pochi soldi e oggetti di valore presenti. Dopo aver costretto al muro i suoi familiari, quattro fascisti scortarono Giuseppe Sala nella sua abitazione, nell'attuale via dei Maggioli, e la perquisirono, non trovando nulla. 
Il 25 o 26 aprile c'è gran movimento in paese, una piccola colonna tedesca di 5 autoblindo e una camionetta attraversa il paese senza preavviso. Sul mezzo in testa alla colonna è legato un partigiano di Subiate e i tedeschi gridano con voce gutturale "partigiano... partigiano". Si fanno così strada in mezzo alla gente, mentre sopraggiunge la sorella del prigioniero, disperata per la sorte del fratello: si saprà poi che egli verrà liberato dopo uno scontro armato sulla statale 36. 
Il 27 aprile i partigiani occupano il municipio di Verderio Superiore, mentre in quello di Verderio Inferiore  stabiliscono il presidio: vengono distribuite le poche armi che da mesi sono nascoste sotto il tetto della cappella centrale del cimitero di Verderio Superiore: 15-16 moschetti, qualche bomba a mano, qualche pistola e una mitragliatrice. 
Il 28 aprile il tempo è incerto, minaccia la pioggia. La nottata è stata movimentata. Insistenti sparatorie si sentono dalle parti di Trezzo d'Adda e non lasciano presagire niente di buono. Quella mattina i partigiani stanno ancora, a turni, presidiando i municipi. Sono: Carlo Colombo, Giovanni Sala, Carlo Viganò, Giuseppe Frigerio, Mario Nava, Paolo Nava , Napoleone Ponzoni, Edoardo Acquati, Adele Frigerio, Matilde Oggioni. 
Tra le 10 e le 11 una comunicazione telefonica anonima informa che un autocarro di camicie nere è partito da Cornate d’Adda e si dirige a Verderio. I partigiani di qui sono pochi e male armati: ci sono attimi di indecisione. Carlo Colombo, Giovanni Sala, Paolo Nava e Mario Nava salgono su un'automobile requisita qualche tempo prima al Baraggia (Giuseppe Baraggia, titolare del maglificio omonimo di Verderio Superiore N.d.R) e si dirigono verso Cornate. Poco prima di Cascina Alba si fermano, scendono e si appostano nei fossati ai bordi della strada. All'improvviso, all'altezza della cascina spunta una camionetta, ad una certa distanza appare un mezzo blindato, poi un camion e poi ancora un altro: non si tratta dunque solo di un camion di camicie nere, ma di una vera colonna motorizzata di soldati della Wehrmacht e delle SS. Secondo alcune testimonianze sventolano una bandiera bianca. La colonna si ferma con le mitragliatrici puntate davanti ai partigiani. Questi intimano la resa. I tedeschi non accettano e chiedono di proseguire fino a Merate con la scorta di partigiani: probabilmente vogliono raggiungere indisturbati Como, senza essere fermati come sta succedendo alle altre colonne. "Non è possibile" rispondono i partigiani "Merate è già stata abbandonata dai tedeschi e la zona brulica di partigiani". Giovanni Sala e Carlo Colombo salgono sulla camionetta; la colonna riparte. E' formata da 50-60 autocarri, forse di più, mezzi blindati con mitragliatrici antiaeree ed alcuni cannoni semoventi; sugli autocarri ci sono viveri e oggetti vari, frutto delle razzie compiute nella ritirata, munizioni e circa 300-400 soldati armati di mitragliatrici, fucili e fucili mitragliatori. Sembra che la colonna sia in ritirata dal fiume Po, che gli alleati hanno già attraversato dal giorno 25. Lungo il percorso hanno subito diversi attacchi da parte dei partigiani: l'ultimo al ponte di Trezzo, con morti nelle fila partigiane. Qui la colonna si era divisa e una parte aveva puntato verso Merate dove sperava di trovare il presidio tedesco e repubblichino ancora efficiente. Quando la colonna giunge nel centro abitato c'è un gran movimento: i nuclei partigiani della 103° brigata SAP convergono sul paese. La colonna viene fermata, dalla camionetta scendono Sala e Colombo. Viene di nuovo intimata la resa. Il marconista tedesco cerca di mettersi in contatto con il comando di Merate e urla: "Perché non risponde?" "A Merate i tedeschi sono stati disarmati e sono fuggiti" gli fa sapere Daniele Pirovano, accorso con altri antifascisti da Verderio Inferiore. "Non è possibile" ribatte il marconista. I partigiani hanno l'ordine di non sparare se non sono attaccati. I tedeschi cercano di forzare il blocco e una camionetta si porta fino all'incrocio per Paderno d’Adda. Osserva la situazione e torna nella colonna. Hanno deciso dove attestarsi; costringono i partigiani a farsi da parte, riprendono la marcia e svoltano a destra verso Paderno. Quando la testa della colonna è in prossimità della salita, il comandante ordina di fermarsi. I soldati e le SS scendono dai camion e si pongono in assetto di combattimento: una mitragliatrice è posta in cima alla salita di Paderno (denominata, a quel tempo, del Genasa N.d.R.), altre sul ciglio della strada. I cannoni vengono puntati contro le postazioni partigiane e contro il paese.

Qui sotto le foto mostrano la strada per Paderno d'Adda, oggi via dei contadini verderiesi, ove si è fermata la colonna tedesca. Sull'ultima foto si nota il cippo commemorativo.







Sul sagrato della chiesa di Verderio Superiore è improvvisato un ospedale da campo, in previsione di uno scontro. Sul posto, oltre all'ufficiale medico tedesco, è presente il dottor Zamparelli. La tensione è altissima: uomini e donne che tornano dal lavoro da Paderno, percorrono la strada con comprensibile preoccupazione, risalendo la colonna tedesca fra soldati e postazioni di mitragliatrici.
Nel frattempo si provvede ad allontanare la gente accorsa dal paese e dai dintorni. Fa aumentare il panico la voce che entro le 17 del pomeriggio i tedeschi avrebbero bombardato il paese: si fugge nella campagna, ci si nasconde negli scantinati.
Intanto i partigiani hanno definito il loro schieramento. Sono giunti da tutte le parti, con la 103° brigata SAP al completo, arrivano forze della resistenza da Bernareggio, Vimercate, Concorezzo, Bellusco, Subiate, Lomagna e da altre zone del Milanese, del Bergamasco, dalle montagne del Lecchese. Sono circa un migliaio, secondo alcuni duemila: certo è che sono tanti. Si schierano su un fronte che ha i principali capisaldi al confine dei due Verderio, cascina dei Prati, la Baita, la strada per la stazione di Paderno. Tutte le strade sono bloccate e all'altezza del cimitero i partigiani di Cornate d’Adda e Trezzo completano l'accerchiamento di modo che i tedeschi non abbiano scampo. A questo punto le testimonianze sono un po' confuse, certo è che ancora una volta i tedeschi rifiutano la resa nella trattativa che si svolge tra i comandanti della Brigata Garibaldi (fra i quali il comandante De Luigi di Lomagna) e l'ufficiale tedesco. Il signor Passaquindici, titolare  dello Scatolificio Ambrosiano, che ha sede a Verderio, fa da interprete. I tedeschi vorrebbero arrendersi ad una forza superiore (gli alleati) e chiedono l'onore delle armi. Nel primo pomeriggio alcune camionette anglo-americane giungono nelle vicinanze. Le testimonianze non sono in grado di accertare se tra i tedeschi e gli alleati si stabilisca un contatto via radio o per mezzo del comando partigiano. Sta di fatto che verso le due o le tre del pomeriggio un aereo alleato sorvola la zona e lancia un bengala. Più tardi si odono due colpi di cannone o di carro armato, qualcuno dice che fossero caricati a salve, altri sostengono che furono indirizzati ai boschetti vicino alla Sernovella. Probabilmente si trattava del segnale che i tedeschi attendevano per arrendersi: dalla strada che porta alla stazione sopraggiungono alcuni blindati e autocarri carichi di truppe americane.
C'è una breve trattativa con l'ufficiale tedesco e poi la resa. Agli ufficiali viene concesso l'onore delle armi. I soldati della Wehrmacht gettano le armi e molti di loro esultano perché la guerra è finita. Le SS invece hanno gesti di stizza e insofferenza e scagliano le armi contro i paracarri. In fila per quattro i prigionieri, scortati dagli alleati si avviano a piedi verso la stazione di Paderno.
In quella colonna, travestiti da tedeschi, c'erano molti fascisti che, all'ultimo momento, indossarono abiti borghesi e tentarono di fuggire. La maggior parte di essi venne però catturata e consegnata alla Brigata SAP.
L'incubo è finito, la gente torna in paese; altra ne giunge dalle vicine località. I partigiani raccolgono le armi che, in parte vengono distribuite e in parte ammucchiate ai piedi degli alberi. 
Intanto la pressione della folla intorno agli autocarri abbandonati, pieni di ogni ben di Dio, si fa insostenibile. La tentazione è forte, come la fame, e nel caos gli autocarri vengono presi d'assalto e svuotati.

Nota integrativa

La famiglia Gnecchi Ruscone, proprietaria, fin verso la metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, della quasi totalità degli immobili e delle terre di Verderio Superiore, negli anni a cavallo fra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, costruì in paese numerosi edifici pubblici e opere di grande utilità e pregevole bellezza. Logico pertanto dedurre che la decisione di costruire opere o realizzare infrastrutture fosse dovuta a particolari e inderogabili esigenze, quali l’intento di rendere più bello il paese e fornirlo dei necessari servizi.
E’ all’interno di queste considerazioni che probabilmente si deve ricercare il motivo per il quale la famiglia borghese del luogo, nel 1938, commissionò e fece costruire la nuova strada che in seguito collegò Verderio Superiore alla stazione ferroviaria di Paderno-Robbiate, l’attuale via Leopoldo Gasparotto.
Nel 1938 siamo in piena era fascista; è l’anno della pubblicazione del “Manifesto della razza”, che si inserisce nel contesto dell’alleanza con la Germania nazista di Hitler e prelude alle leggi razziali introdotte verso fine anno dal regime fascista. Come si poteva allora usufruire e beneficiare di una nuova opera senza che venisse prevista una fastosa e solenne inaugurazione? Le Camicie nere, in accordo con le autorità civili e religiose, fecero le cose in grande. Nel mese di novembre del 1938 si tenne la cerimonia di inaugurazione: dal municipio partì il corteo composto dalle autorità e dai gerarchi fascisti locali e provinciali, da numerosi residenti “invitati” a partecipare, nonché dagli alunni delle scuole del paese, vestiti rigorosamente secondo la classificazione imposta dal regime. Il corteo si diresse verso il “cerchio dei platani” ove le autorità tennero alcuni discorsi di ricorrenza e il parroco officiò la benedizione dei presenti e del cippo a ricordo dell’evento.
Fatto il doveroso breve preambolo, a proposito del cippo commemorativo, vorrei introdurre un elemento storico importante che, scomparsi i testimoni oculari di quella stagione, probabilmente oggi nessuno conosce. E’ stato Felice Colnaghi, cugino di primo grado di mio padre, a raccontarmelo qualche anno fa. Sul cippo deposto nel 1938, in occasione dell’inaugurazione della strada, oltre all’incisione di una scritta a ricordo dell’avvenimento, fu applicato un emblema del fascismo, probabilmente un fascio littorio, tanto è vero che ancora oggi si notano due fori nella lastra di marmo ove era ancorato.


Dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo, le prime elezioni libere per la formazione dei Consigli comunali si tennero il 17 marzo 1946. In quell’anno gli italiani vennero chiamati a votare liberamente per la prima volta, secondo il principio del suffragio universale, in quanto il voto fu esteso anche alle donne.
A Verderio Superiore i risultati videro un successo dei partiti di sinistra, in particolare del Partito comunista e del Partito socialista, traducendo in consenso politico anni di rivendicazioni e lotte democratiche dei contadini e degli operai verderiesi. La prima Amministrazione comunale dell’era repubblicana, dopo il suo insediamento, decise di rimuovere dagli edifici comunali e dai luoghi pubblici i simboli che ricordavano il fascismo. Fu così che il sindaco, Paolo Rota, e la giunta comunale decisero di “riconvertire”, diciamo così, la vecchia lastra di marmo riutilizzandola in ricordo della resa della colonna dei soldati tedeschi in ritirata ad opera dei partigiani.  (b.c.)

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