venerdì 16 ottobre 2020

I capelloni, i primi beat e gli hippies: i simboli della contestazione giovanile negli anni Sessanta 

Negli anni Sessanta, per la prima volta, si prende coscienza di una nuova figura sociale, autonoma, scissa sia dal mondo infantile, sia dal mondo adulto: la figura del giovane. A partire dal 1960, si assiste ad una simultaneità di figure giovanili che si impongono sulla società adulta. Si fa riferimento agli antifascisti di Genova, agli operai meridionali che nel 1962 saranno a capo delle rivolte sindacaliste, ai beat e ai capelloni che anticiperanno di tre o quattro anni la rivolta studentesca. A causa di queste prime contestazioni, i giovani acquisiscono l’appellativo di “ribelli”. I giovani diventano sempre più coscienti delle proprie capacità di formulare una cultura diversa da quella tradizionale. La ragione di ciò risiede nel fatto che, questi, essendo elemento di rottura e al tempo stesso elemento innovatore, diventano il filtro attraverso cui passano le novità, i disagi e le rivolte degli anni Sessanta e attraverso cui si pongono le basi per costruire un obiettivo sociale futuro. Ecco perché questi nuovi soggetti diventano i protagonisti di un’epoca considerata critica, soprattutto per il nostro Paese, che stenta a mettersi in pari con i grandi cambiamenti raggiunti dal resto dell’Europa Occidentale e dagli Stati Uniti d’America. Il divario esistente può essere spiegato attraverso due chiari episodi: 1) la chiusura culturale causata dal ventennio fascista che comporta, con l’avvento degli anni Sessanta, un atteggiamento propenso soprattutto a recuperare tutto ciò che era stato messo al bando dal regime, piuttosto che prestare attenzione a quanto accade in Europa e America; 2) le resistenze conservatrici della Chiesa e di gran parte delle strutture sociali e politiche italiane. Il mancato riformismo, dovuto proprio a queste resistenze conservatrici, frena l’avanzamento della modernizzazione italiana e innesca quello che sarà definito “periodo di instabilità”. Il motivo che porta la società, in particolare quella giovanile, a chiedere prepotentemente una riforma istituzionale e culturale, nasce dal bisogno di rimescolare una situazione stagnante. E ciò spiega il motivo per cui, all’interno di una data situazione storica, si verificano spinte, sociali, economiche o culturali che provocano un “movimento” totale o parziale, capace di generare modifiche più o meno evidenti nel tessuto sociale stesso.

Un movimento di grande portata nel tessuto sociale italiano viene provocato dalla simbologia dei capelloni. I capelli diventano il simbolo anticonformista di rottura con la società adulta, diventando il segno della protesta giovanile e della critica al sistema. Quindi i giovani, per creare una netta differenziazione con gli adulti e trovandosi senza stabili punti di riferimento culturali e normativi, si rifugiano in strutture figurative autoprodotte e autorappresentate esclusivamente dai giovani per i giovani. La moda dei capelli lunghi, chiamati anche capelli alla “Nazarena”, cominciò a manifestarsi a Londra, in una isoletta del Tamigi, dove c’era una balera con pub che si chiamava Eel Pie Island Club. Adottata dagli adolescenti ribelli dei paesi dell’Europa settentrionale, la moda è, dunque, d’origine inglese. Questo non sorprende: in quegli anni, e per lungo tempo, fu infatti la gioventù inglese a dettar legge al resto del mondo in fatto di voghe e di gusto. Quel club era, come certi ritrovi di Liverpool, uno dei locali in cui convergevano più numerosi i “puri” della rivolta minorile: nascevano quasi tutti lì gli orientamenti che venivano quasi immediatamente registrati ed elaborati commercialmente dalle vie delle boutique dell’abbigliamento maschile e dalle case discografiche, dal cinema, dalla televisione. Il concetto del capellone ha un campo d’azione molto ampio: capellone è il beat, capellone è il sessantottino, capellone è colui che vive nelle comuni. Questo grossolano raggruppamento confluisce in un unico simbolo principale: la lunghezza dei capelli. L’insieme così composto costituisce la subcultura italiana, ovvero un insieme di modelli di comportamento come risposta ai problemi sociali preesistenti agli anni Sessanta. La causa che ha favorito la nascita di una controcultura è riscontrabile nelle incertezze generate dalle strutture dominanti, dentro le quali la nuova generazione cerca di sopravvivere mediante strategie di adattamento. Il movimento beat è la prima strategia di sopravvivenza a cui ci stiamo riferendo. Rappresenta la storia di una piccola sottocultura giovanile italiana che, per alcuni anni, prima dell’esplosione del Sessantotto, influenzerà settori marginali del mondo giovanile. Per gli adulti il fenomeno è una conseguenza causata dall’effetto di imitazione imposto dalla moda e da modelli provenienti da altri Paesi. Esiste comunque una distinzione tra i beat, e bisogna precisarla. Pur risultando anticonformisti nella loro totalità, i beat subiscono una scissione interna che li divide nel movimento radicale, legato alla protesta diretta, e nel movimento più moderato, legato alla protesta mediante la musica e la moda. La separazione tra i due mondi avviene quando la musica e la moda vengono commercializzate e istituzionalizzate. Il primo gruppo resterà ancorato alla controcultura e alla rivista Mondo Beat, il secondo incarnerà la produzione musicale successiva ai Beatles. La Beat Generation in Italia muove i primi passi a Milano nel 1965, “come conseguenza degli squilibri e dei difficili momenti di fronte ai quali si trovano, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale i giovani” che, per protesta, assumono atteggiamenti non conformi alle volontà del Paese, tanto da scatenare la repressione da parte della polizia, e quindi dello Stato, e da parte della gente comune, che li deride e li addita come disadattati. Come è stato appena spiegato, è in questo clima che nasce la rivista simbolo dei capelloni italiani, Mondo Beat. In contrasto con la stampa ufficiale, laica e borghese, è tra le esperienze più significative che si svolgono nel contesto della controcultura italiana. La testata alternativa, oltre a denunciare le calunnie e le ingiurie alle quali sono stati sottoposti i capelloni da parte degli organi di stampa controllati dal potere economico e politico, traccia un esauriente quadro della cultura, della mentalità, delle aspirazioni di questa frangia giovanile. Mondo Beat è la sintesi di quanto accade a Milano in questi anni tra le contestazioni e la nascita dei club culturali di periferia. In questi luoghi si riuniscono i giovani per discutere di politica o di cultura. I nuovi circoli, nati e gestiti autonomamente, rifiutano il coinvolgimento dei partiti che al contrario, vengono disertati. La caratteristica peculiare che attira l’interesse della gioventù italiana consiste sia nell’anticonformismo di cui sono composti i nuovi circoli culturali, sia nella possibilità che questi offrono circa la discussione di quegli argomenti che non vengono affrontati né nelle sezione dei partiti né in fondo da nessuna altra parte: la condizione delle donne in Italia, il problema del divorzio, l’organizzazione della famiglia, la scuola. Dalla necessità di creare una società alternativa vista dalla prospettiva “capellonica”, il primo maggio 1967, nasce New Barbonia, un campeggio beat situato in un’area regolarmente affittata per quattro mesi da Mondo Beat, diventando il simbolo della nuova generazione di “sovversivi”. Il progetto beat entra subito in contrasto con i perbenisti e con un quotidiano milanese che lo identifica come il covo dell’anarchia, dell’immoralità. A Nuova Barbonia viene presto collegato un nuovo fenomeno, quello delle fughe. Si tratta di un fenomeno che non riguarda le bravate di adolescenti disadattati, bensì un problema massificato che non va generalizzato con quanto accadeva nei decenni precedenti, quando le fughe erano programmate per inseguire i sogni di ricchezza. Quelle degli anni Sessanta nascondono ben altri disagi. Alla base di tutto risiede la paura di diventare come i propri genitori. Ad essere coinvolti sono soprattutto minorenni e in particolar modo ragazzine, che scappano di casa rifiutando i due più solidi princípi su cui è imperniata la società italiana, quello che vede i figli sottoposti all’autorità dei genitori, alloggiati in casa fino a quando si formano una loro famiglia, e quello che vuole la donna sottomessa all’uomo, incapace di prendere iniziative autonomamente. Le fughe saranno un fenomeno che durerà per tutto il decennio malgrado la vita precaria a cui saranno destinati i giovani capelloni fuggiaschi. La particolarità che la rende tanto affascinante è l’idea che, la fuga, dia la possibilità di sviluppare la libertà personale e che aiuti il soggetto a svincolarsi dalla morsa di un’educazione che troppo spesso acquista il significato di imposizione di una data esperienza e di un dato modo di vivere. Quest’ultimo è senza dubbio un concetto errato se si pensa che l’azione dell’educare non è sinonimo di obbligare a fare o non fare, ma rappresenta la delimitazione di uno spazio in cui ci si può muovere indipendentemente seguendo delle regole basilari.

Il capellone è per natura apolitico ma, con la svolta del Sessantotto, ripiega su alcune scelte estremiste. L’estremismo giovanile è la manifestazione di una crisi dei modelli organizzativi rappresentati da alcuni partiti, i quali, non coincidendo più con i progetti di rinnovamento sociale e culturale proposti dai giovani, vengono abbandonati dagli stessi per optare verso ideologie più radicali e verso l’azione attiva e rivoluzionaria proposta da altri gruppi. Il movimento studentesco, che sta alla base della contestazione del Sessantotto, è la sintesi di due fenomenologie: la crisi dell’attivismo giovanile istituzionale e lo sviluppo di un associazionismo politico non istituzionalizzato, come ad esempio sono i gruppi della sinistra extraparlamentare e dell’anarchismo, termine che descrive diverse filosofie politiche e movimenti sociali che propongono lo scioglimento di tutte le forme di governo e di gerarchia sociale. Dunque, il Sessantotto italiano, per le ragioni appena espresse, si identifica con la controcultura emergente e con i capelloni, esprimendo però un disagio maggiore che va oltre alla “rivolta contro i padri”, poiché si propone come protesta sociale e fenomeno di mobilitazione collettiva contro l’ordine esistente costituitosi subito dopo la Seconda guerra mondiale che verte sul modello americano e su quello sovietico. Tutto quello che accade negli anni Sessanta e in particolar modo nel Sessantotto è relazionato quindi al fermento sociale promosso dal cambiamento. Infatti, le stesse manifestazioni di dissenso e di contestazione descrivono le tensioni della società che il secondo dopoguerra ha partorito, per poi volgere verso un nuovo carattere sociale, appunto, nato tramite l’azione dei giovani.

Beniamino Colnaghi

Sul “mondo giovanile” di quegli anni, nel blog sono presenti altri post:

Woodstock: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2014/08/woodstock-agosto-1969.html

Rock: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2014/02/il-club-27-del-rock-maledizione.html

Zanzara: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/11/la-zanzara-del-liceo-parini-di-milano.html

Evasi: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/06/vennero-e-poi-i-cleptomani-i-complessi.html

Il fenomeno dei capelloni venne analizzato anche da Pier Paolo Pasolini, il quale scrisse il proprio pensiero sul “Corriere della Sera” del 7 gennaio 1973. 

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