venerdì 8 dicembre 2017

Ul piasè de cüntala su dei brianzoli
(il piacere di conversare, di raccontarla a qualcuno)

Si è molto parlato su questo blog della trasmissione orale di fatti, notizie, storie tra le più svariate nei periodi quando la televisione non era ancora entrata prepotentemente nelle case dei brianzoli. Se togliessimo le chiacchiere di paese ed i pettegolezzi, che hanno sempre fatto parte del vissuto di una comunità di persone, le storie più o meno vere, o verosimili, ovvero infarcite di balle macroscopiche, fino agli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso venivano raccontate e tramandate ai più giovani oralmente. Solitamente ciò avveniva in inverno nelle calde e maleodoranti stalle oppure davanti al grande camino della cucina, ove erano sedute almeno tre generazioni della famiglia patriarcale, mentre durante i mesi più caldi i principali centri di “comunicazione culturale” erano i portici ed i loggiati delle cascine e dei cortili rurali. In quei luoghi erano quasi sempre le persone più anziane a raccontare le storie e i bambini ed i più giovani ascoltavano in religioso silenzio, a volte a bocca aperta, altre volte con gli occhi sgranati. Per le generazioni passate era naturale e istintivo ul piasè de cüntala su ed i bambini di allora si immedesimavano nel racconto e viaggiavano di fantasia. Era un raccontare alla buona, spontaneo e senza pretese, però sempre con una morale, mural, un messaggio che dicesse qualcosa di utile a tutti, di esemplare, da cui trarre insegnamento per una migliore norma di vita.
Le storie di temp indree tramandateci dalla tradizione orale brianzola sono sostanzialmente esposizione di fatti veri, o solo in parte, senza pretese di essere in possesso di documenti e testi scritti. Alcuni racconti partivano da contingenze reali e man mano venivano ricostruiti e riadattati con ambiti ambientati ad hoc e con le caratteristiche dei protagonisti, in sintonia con i tempi e i luoghi nei quali i fatti erano accaduti. Nella maggior parte delle vicende raccontate dai vecchi campeggia la figura del “brianzolo tipo”, con i suoi pregi e difetti, le sue manie, le rigidità di usi e costumi, le sue ingenuità ma anche le sue furbizie.


Agli inizi del secolo scorso, ed almeno fino agli anni Sessanta, il vissuto terreno del brianzolo ruotava attorno alla Provvidenza, ai Santi ed ai suoi Morti. Sono questi aspetti importanti per capire su che basi si fondava la sua mentalità e come gli riuscisse di non “uscire dal seminato”. Il vecchio contadino aveva innato il senso del rispetto delle regole, dello stare al proprio posto, dell’attaccamento alla propria comunità. Ciò era dovuto anche al fatto che la vita comunitaria rurale della vecchia Brianza era piuttosto povera di avvenimenti e di novità e che i fatti e le cadenze si ripetevano stagione dopo stagione, anno dopo anno. Le novità le portavano in cascina e nei piccoli centri rurali i carbunatt, i cavalont, gli strascee, coloro che avevano la possibilità di spostarsi con i carri verso Milano, Monza e Sesto San Giovanni.
La peculiarità delle storie raccontate qui in Brianza riguardava quasi sempre una velata serenità di spirito che oggi si è persa e smarrita e della quale noi oggi proviamo una sicura nostalgia. Si trattava di quella condizione “spirituale” che apparteneva a classi di persone umili, buone di carattere, prive di turbamenti, tranquille. Secondo il vecchio brianzolo l’uomo non era quasi mai protagonista della propria vicenda terrena, governata com’era dalla Provvidenza, di fronte alla quale l’uomo è spesso soltanto muto spettatore. Quella Provvidenza era il piano di Dio, dalla quale il contadino traeva insegnamenti oppure giustificazioni, ma era certo che a quel disegno divino dipendeva il suo destino spirituale e terreno.


I racconti brianzoli erano tutti emanazione delle persone anziane ed ebbero come ribalta, come abbiamo visto, i luoghi tipici del vissuto contadino. Nella stalla, vicino al grande camino o sotto i portici si potevano ascoltare storie riferite al mondo dell’infanzia, racconti fantastici o di soldati che avevano combattuto in guerra oppure ancora racconti edificanti a carattere religioso, tratti dalla vita dei santi e dei grandi pellegrini.   
Siccome le vecchie storie erano tutte calate nel mondo contadino, per cercare di capirle e dar loro una seppur minima verosimiglianza bisognerebbe conoscere il contesto entro le quali nascevano e si sviluppavano, almeno secondo tre concetti già brevemente richiamati: la Provvidenza, la mentalità contadina e l’indole del brianzolo. Occorre cioè avere un’immagine precisa dell’intero mosaico, perché è la sua conoscenza specifica che può consentirci di interpretare e capire quel mondo ormai scomparso.
Il prezioso significato sociale della nostra narrativa orale sta nel fatto che attraverso di essa possiamo ricostruire pezzo per pezzo la vita della cascina, il ruolo comunitario del cortile e del grande portico comune, la funzione romantica, oltre che fondamentale, del pozzo, il senso profondo della Provvidenza e della vita religiosa. Sono le storie che raccontano la vita di quelle generazioni di persone, storie che animano la chiesa, l’osteria, le botteghe artigiane, il lavatoio pubblico, il cimitero, la villa padronale.
È grazie a questo mondo che i racconti e le storie dei vecchi contadini brianzoli non sono mai banali, perché posseggono un’anima ed una morale condivisa. 

Beniamino Colnaghi
 
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