mercoledì 4 dicembre 2013

Cantù, 9 aprile 1914: il dirigibile “Città di Milano” brucia presso la cascina Novello


Enrico Forlanini, a cui venne dedicato l’aeroporto di Milano ed il lungo viale che ne consente l'accesso, sviluppò una serie di aeronavi semirigide, nel periodo che va dai primi anni del Novecento fino ai primi anni Trenta. Queste aeronavi, assieme ai dirigibili tedeschi, furono le prime a presentare la navicella di comando solidale con l’involucro per ridurre la resistenza aerodinamica. Inoltre, nel suo ultimo progetto, l’Omnia Dir che volò postumo nel 1931, Forlanini realizzò il primo utilizzo pratico di getti d‘aria compressa per il controllo direzionale di un aeromobile. Confortato dal successo della sua prima aeronave, Forlanini si impegnò nella costruzione di un progetto più ambizioso: il nuovo dirigibile bimotore, chiamato Città di Milano, era quasi quattro volte più grande del suo predecessore. Per motivi di sicurezza, dato che l’aeronave era gonfiata con idrogeno, tutte le stoffe avevano ricevuto trattamento ignifugo e l’aeronave presentava un doppio involucro. Il primo volo ebbe luogo il 17 agosto 1913 nel cielo sopra Milano. Il 21 dicembre ebbe luogo il volo forse più significativo, destinazione era il campo di San Siro, dove il dirigibile fu benedetto dalle autorità ecclesiali e ricevette il gonfalone.

Il 9 aprile 1914, giovedì della Settimana Santa, la “nave aerea”, come venivano definiti i dirigibili, era partita dall’aeroporto di Baggio per dirigersi sui cieli della Brianza, precisamente sulla direttrice Cantù – Como. La giornata era limpida ed un leggero vento spirava da sud verso nord. Ciò, tuttavia, non destò gran preoccupazione negli uomini che la pilotavano. A bordo erano saliti gli otto membri dell’equipaggio e quattro signore.
Cantù in una foto scattata intorno al 1890
Verso le 10.30 il dirigibile evidenziò le prime difficoltà dovute ad una perdita di gas dagli scomparti di poppa che fece perdere gradualmente la posizione orizzontale. Gli ufficiali alla guida tentarono allora un’inversione di rotta che riportasse il dirigibile verso Milano. Il mezzo, tuttavia, assunse una pericolosa inclinazione che rese problematico proseguire il volo. Gli ufficiali spensero così i motori e decisero di atterrare su un terreno adatto nei pressi della cascina Novello Inferiore, una struttura isolata tra i campi, situata nei pressi del cimitero di Cantù. I contadini a quell’ora erano al lavoro nei campi, occupati nella semina delle patate. Quando il dirigibile toccò terra, i contadini, dopo un primo momento di smarrimento e timore, accorsero cercando di rendersi utili, collaborando all’opera di ancoraggio. Dalla navicella lanciarono delle funi affinché venissero fissate agli alberi circostanti, in particolare dei robusti gelsi.

La manovra di atterraggio non sfuggì agli abitanti dei borghi vicini. Molta gente cominciò ad accorrere incuriosita. Sopraggiunsero anche, entro pochi minuti, le guardie di Cantù ed i pompieri.
All’equipaggio dell’astronave si presentò subito il compito di avvertire la base dell’atterraggio di emergenza e di provvedere allo smontaggio del dirigibile per il suo successivo trasporto a Milano. Ma nelle fasi di atterraggio il dirigibile riportò dei danni. Il timone di coda si era spezzato e dagli scomparti di poppa continuava la fuga di idrogeno. Le strade che da Cantù e dai paesi contigui portavano alla cascina Novello erano percorse da un’ininterrotta processione. Gente a piedi, in bicicletta, coi carri ed anche in carrozza non volevano perdersi uno spettacolo così unico. La folla si stringeva sempre più vicina al dirigibile e non sembrava minimamente preoccupata del pericolo costituito dalla perdita di gas.
 
La copertina della Domenica del Corriere dedicata all'incidente
Questa immagine è nel pubblico dominio perché il relativo copyright è scaduto.

Gli ufficiali chiamarono Milano per far mandare sul posto i soldati addetti all’hangar. Il comandante del presidio di Como inviò da parte sua un centinaio di soldati, i quali arrivarono verso mezzogiorno. Tutto sembrava ormai pronto per dare inizio ai lavori di smontaggio, quando verso le 12.30 un colpo di vento strappò gli ormeggi che tenevano bloccata l’astronave. I gelsi vennero divelti ed il dirigibile si spostò verso nord strisciando sul terreno. La gente cominciò ad urlare e scappare verso ogni dove. Ad un certo punto il mezzo si fermò. Aveva percorso allo sbando un centinaio di metri. Immediatamente il maggiore Del Fabbro, che dirigeva le operazioni, diede l’ordine di iniziare lo smontaggio.

Il quotidiano di Como, “L’Ordine”, descrisse così queste fasi:
     “Vennero quindi aperte le valvole per far uscire il gas e l’involucro cominciò lentamente ad afflosciarsi. A operazione ultimata restavano però ancora alcune sacche di idrogeno, e per accelerarne l’uscita vennero aperte anche le manichette, tubi del diametro di 60 centimetri. L’idrogeno riprese ad uscire con violenza e per reazione le manichette cominciarono a sbattere compiendo un mezzo giro. Le bocche d’uscita… con il mezzo giro si erano rivolte verso destra dove la massa dei curiosi era a non più di 6 o 7 metri. Quasi subito, all’improvviso, vicino al dirigibile balenò una fiammata verdognola, seguì prima una detonazione non molto forte, poi altre due formidabili, infine una grande fiammata, violenta, avvolse tutto il dirigibile e si dissolse in alto in una densa nube di fumo nero e giallo”.

Proseguì “L’Ordine”: 
     “La folla in preda al più pazzo terrore, urlando come indemoniata, si diè a fuggire da tutte le parti inseguita da lingue di fuoco. Uomini, donne, bambini attaccati dal fuoco cadevano contorcendosi tra gli spasimi strappandosi le vesti di dosso, calpestandosi gli uni agli altri, calpestati questi a loro volta da altri fuggenti che sopravvenivano”.

Passati i primi attimi di sbigottimento e sorpresa, per gli illesi cominciò l’opera di soccorso dei feriti. I più fortunati riportarono solo ustioni alle mani e al collo. Altri, investiti in pieno dalla fiammata, erano in gravi condizioni. Tra questi ultimi si citano: Innocente Broggi, pompiere canturino, Angelo Innocente Marelli, falegname nonché capo dei pompieri, Giulio Galbiati, muratore, Giuliano Galbiati, sarto. Complessivamente si contarono circa 200 ustionati tra i civili e 21 tra i militari.
La notizia dell’incendio si diffuse in un baleno. Lo spettacolo, se così si può definire, che si presentò sul luogo della tragedia fu impressionante. A chi arrivò per prestare soccorso, il luogo sembrò un campo di battaglia. Del forzato atterraggio del “Città di Milano” fu avvertito anche il suo costruttore, l’ing. Enrico Forlanini, il quale arrivò sul posto nel momento in cui la sua creatura stava bruciando.
La grave sciagura ebbe una grande eco, non solo in Italia. Si aprì un’inchiesta per appurare le cause del sinistro e accertare le responsabilità. Intanto la gente continuò, pur nei giorni seguenti, il “pellegrinaggio” verso la cascina Novello. L’ambizione dei più era quella di portarsi a casa un pezzo del dirigibile o fare incetta di alcune parti per poterle vendere e ricavarne piccoli compensi.

Domenica 12 aprile, Angelo Innocente Marelli cessò di vivere. Lunedì 13, giorno dell’Angelo, ebbero luogo i funerali, a spese del comune e con un’enorme partecipazione di folla. Le esequie furono imponenti. I negozi vennero chiusi. I cordoni a fianco del carro erano sorretti dalle maggiori autorità convenute a Cantù, dallo stesso ingegner Forlanini all’equipaggio del dirigibile, dal sindaco alle massime autorità militari. Parteciparono al corteo le tre bande musicali cittadine.

La piccola edicola della Madonna posta su una parete della cascina Novello

Nei giorni seguenti si tentò il bilancio dei danni materiali. La distruzione del dirigibile fu quantificata in lire 300mila e diverse migliaia di lire furono i danni subiti dai proprietari dei fondi agricoli per la distruzione della seminagione e dei numerosi gelsi.

Nacquero anche le prime polemiche, soprattutto tra i giornali ed il comune di Cantù. I primi accusarono alcuni curiosi presenti sul luogo di essersi mesi a fumare a ridosso del dirigibile, provocando lo scoppio e l’incendio. Il sindaco di Cantù, durante il Consiglio comunale del 19 settembre, affermò, senza indugi che “…è escluso che lo scoppio del gas sia dovuto a fumatori o all’accensione dei camini delle case ove avvenne lo scoppio”. La “Domenica del Corriere”, invece, sostenendo la tesi che la causa dell’esplosione era da attribuire ai fumatori, scrisse: “Il contadino è cocciuto nell’ignoranza”.

La targa commemorativa

La vasta area che circonda la cascina Novello è oggi notevolmente cambiata. Dove un tempo esistevano distese di campi coltivati e vasti filari di gelsi, negli ultimi anni sono state costruite decine e decine di villette.
Le vittime dell’incendio e la perdita del dirigibile sono ricordate da una lapide murata su una parete esterna della cascina stessa, sulla facciata rivolta verso i prati che furono teatro della tragedia.

Beniamino Colnaghi

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