lunedì 14 gennaio 2013

Sant’Antoni del purcèll, un santo venerato anche in Brianza

La festa di sant'Antonio abate si celebra ogni anno il 17 gennaio. In passato era una delle ricorrenze più sentite nelle comunità contadine. La vita dell'uomo e le stagioni della natura con moto perpetuo si sovrapponevano, si integravano in un sistema ciclico entro il quale si realizzava il duraturo accordo tra natura, uomo e società. Il contadino, fino alla prima metà del Novecento, impiegava il suo tempo secondo il rigido calendario stabilito dalla natura. La presenza della Chiesa, inoltre, nel paese e nel piccolo villaggio, forniva ai contadini un solido criterio della misurazione del tempo scandito dalle funzioni religiose, dai periodici e giornalieri richiami alla preghiera e dalle celebrazioni di festività che ricongiungevano la comunità contadina al continuo ripetersi, anno dopo anno, degli eventi celebrati dalle Sacre scritture, da calendari e ricorrenze.

Oggi, nelle società che vengono definite post di qualsiasi cosa, le festività legate al mondo rurale ed alle tradizioni contadine sono meno diffuse. Alcune di esse permangono soprattutto grazie a pochi e testardi cultori delle tradizioni che le ricordano e le fanno rivivere in alcune zone rurali e nei paesi della provincia profonda, dove le tradizioni sono più radicate rispetto alle grandi città ovvero ad aree “compromesse” dalla progressiva e sistematica modificazione dell’ambiente naturale e distruzione dei luoghi sociali e del vivere comunitario. 

Nella cultura popolare, sant'Antonio abate veniva raffigurato con accanto un maialino. I contadini, per distinguerlo dall'altro Antonio, quello comunemente detto da Padova, lo chiamavano infatti sant'Antoni del purcèll, il quale spesso era rappresentato con lingue di fuoco ai piedi e aveva in mano un bastone alla cui estremità era appeso un campanellino. Per certi versi, nessun altro santo  entrò pesantemente nelle usanze e nel costume quotidiano brianzolo come sant’Antonio abate.

Sant'Antonio abate (foto nel pubblico dominio in quanto il copyright è scaduto)
 
Malgrado tutte queste connotazioni, attribuitegli da una tradizione secolare, in realtà Antonio aveva poco o nulla a che fare con la Brianza: era infatti un eremita ed un asceta tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico. Antonio, di cui conosciamo bene la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio, nacque in Egitto, a Coma, una località sul Nilo, intorno all'anno 250. Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste e ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione, e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri. Compiuta la sua scelta di vivere come un eremita, si ritirò dunque in solitudine a lavorare e a pregare, dapprima nei dintorni della sua città natale e successivamente nel deserto, vicino a Tebe. Qui trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva sempre con digiuni e penitenze. La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli, tanto che fu costretto, malgrado il suo desiderio di vivere distaccato dal resto del mondo, a cambiare più volte luogo per sfuggire ai curiosi. Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: si dice che la morte lo colse all'età di 105 anni.
 
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di Sant'Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio abate un vero e proprio “santo del popolo” e “santo tutto fare”. Egli era considerato il protettore per eccellenza contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo sia degli animali. Era infatti invocato come protettore del bestiame, dei porcai, dei macellai e dei fornai e la sua effigie era in passato collocata sulla porta delle stalle.

Era anche conosciuto come il “mercante di neve” in quanto metà gennaio era il periodo più nevoso dell’anno. Il santo veniva invocato per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes zoster, nota appunto come "fuoco di sant'Antonio" o "fuoco sacro". Venerato a gennaio, mese che anticamente in Brianza vedeva la celebrazione dei matrimoni, era invocato dalle ragazze da marito che cantavano "Sant'Antoni gluriùs, damm la grasia de fa 'l murùs, damm la grasia de fal bèll, Sant'Antoni del campanèll".

La festa di sant'Antonio abate è oggi abbastanza viva in Brianza, dove la si celebra tra bancarelle, frittelle e vin brûlé, e soprattutto tra i falò. Antonio, come abbiamo visto, era infatti considerato il patrono del fuoco. Secondo alcuni i riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e druidica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante. 
 

Intorno al fuoco la gente del posto cantava anche qualche canzone tramandata oralmente da padre a figlio. Ad esempio, in un grosso comune della Brianza monzese si cantava così:

Sant’Antoni di purcei el sunava i campanei;
i campanei s’inn rumpü, Sant’Antoni el s’è scundü;
el s’è scundü sutt a una porta, gh’era là una dòna morta;
gh’era pizz i candilé, Sant’Antoni el gh’è andaa a dré;
el gh’è andaa a dré fin al vapur, Sant’Antoni l’era un sciur;
l’era un sciur senza pecaa, Sant’Antoni el s’è salvaa;
el s’è salvaa in Paradis, Sant’Antoni e San Lüis. 

Il 17 gennaio in molti paesi della Brianza si benediceva il bestiame. In alcuni comuni tra i più grossi, dopo la benedizione si andava nelle fiere del bestiame e si chiudeva il tutto con una processione durante la quale i fornai portavano ai piedi della statua del santo le loro offerte.

Dopo essermi documentato su alcune e differenti fonti locali ed aver sentito oralmente residenti dei comuni interessati ho constatato, con un certo stupore, che sono ancora parecchie le località, più o meno grandi, nelle quali si festeggia sant’Antonio abate. Le più vicine a Verderio sono Ronco Briantino, in provincia di Monza-Brianza, e Brivio, in provincia di Lecco.

A Ronco, nella parrocchia di S.Ambrogio ad Nemus, al termine della Messa solenne il parroco esce sul sagrato della chiesa e benedice il bestiame, nonché i trattori ed i mezzi agricoli. “Nei tempi andati” i contadini che avevano animali ammalati nelle stalle, facevano benedire alcune manciate di sale che poi mescolavano al cibo dato al bestiame.
 
Brivio, il falò sull'Adda (foto tratta da Merateonline.it)
 
A Brivio, nel Burgh di Tàter, anche quest’anno un efficiente comitato festeggiamenti ha organizzato un denso programma di iniziative in onore di sant’Antonio abate: sante messe, benedizione del sale e del pane di sant’Antonio, vespri e momenti di preghiera, offerta di piatti tipici della cucina brianzola, benedizione degli animali domestici, solenne processione per le vie del borgo con la statua del santo e, per terminare in bellezza la giornata del 17, “Giochi di luce sull’Adda, falò e fuochi pirotecnici”.

Insomma, una festa i cui caratteri salienti riguardano il tentativo di mantenere il culto effettivamente diffuso e radicato delle buone tradizioni nella vita quotidiana dei brianzoli e, non da ultimo, attraverso un fenomeno religioso, potenziare le relazioni sociali e interpersonali degli abitanti del luogo e creare un buon auspicio per il futuro.

Beniamino Colnaghi
 

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