La festa di
sant'Antonio abate si celebra ogni anno il 17 gennaio. In passato era una delle
ricorrenze più sentite nelle comunità contadine. La
vita dell'uomo e le stagioni della natura con moto perpetuo si sovrapponevano,
si integravano in un sistema ciclico entro il quale si realizzava il duraturo
accordo tra natura, uomo e società. Il contadino, fino alla prima metà
del Novecento, impiegava il suo tempo secondo il rigido calendario stabilito
dalla natura. La presenza della Chiesa, inoltre, nel
paese e nel piccolo villaggio, forniva ai contadini un solido criterio della
misurazione del tempo scandito dalle funzioni religiose, dai periodici e
giornalieri richiami alla preghiera e dalle celebrazioni di festività che
ricongiungevano la comunità contadina al continuo ripetersi, anno dopo anno,
degli eventi celebrati dalle Sacre scritture, da calendari e ricorrenze.
Oggi, nelle società
che vengono definite post di qualsiasi cosa, le festività legate al mondo
rurale ed alle tradizioni contadine sono meno diffuse. Alcune di esse
permangono soprattutto grazie a pochi e testardi cultori delle tradizioni che
le ricordano e le fanno rivivere in alcune zone rurali e nei paesi della
provincia profonda, dove le tradizioni sono più radicate rispetto alle grandi
città ovvero ad aree “compromesse” dalla progressiva e sistematica
modificazione dell’ambiente naturale e distruzione dei luoghi sociali e del
vivere comunitario.
Nella cultura
popolare, sant'Antonio abate veniva raffigurato con accanto un maialino. I
contadini, per distinguerlo dall'altro Antonio, quello comunemente detto da
Padova, lo chiamavano infatti sant'Antoni del purcèll, il quale spesso
era rappresentato con lingue di fuoco ai piedi e aveva in mano un bastone alla
cui estremità era appeso un campanellino. Per certi versi, nessun altro
santo entrò pesantemente nelle usanze e
nel costume quotidiano brianzolo come sant’Antonio abate.
Sant'Antonio abate (foto nel pubblico dominio in quanto il copyright è scaduto) |
Malgrado tutte
queste connotazioni, attribuitegli da una tradizione secolare, in realtà
Antonio aveva poco o nulla a che fare con la Brianza: era infatti un eremita ed
un asceta tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico. Antonio, di
cui conosciamo bene la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio,
nacque in Egitto, a Coma, una località sul Nilo, intorno all'anno 250. Malgrado
appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco
interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste e ai
banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione, e alla morte dei
genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri. Compiuta la sua scelta di
vivere come un eremita, si ritirò dunque in solitudine a lavorare e a pregare,
dapprima nei dintorni della sua città natale e successivamente nel deserto,
vicino a Tebe. Qui trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata
nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli
appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasto nel
mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce allo scopo
di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva sempre con digiuni
e penitenze. La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli,
tanto che fu costretto, malgrado il suo desiderio di vivere distaccato dal
resto del mondo, a cambiare più volte luogo per sfuggire ai curiosi. Malgrado
conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: si
dice che la morte lo colse all'età di 105 anni.
I riti che si
compiono ogni anno in occasione della festa di Sant'Antonio sono antichissimi e
legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio abate un vero e
proprio “santo del popolo” e “santo tutto fare”. Egli era considerato il protettore
per eccellenza contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo sia degli
animali. Era infatti invocato come protettore del bestiame, dei porcai, dei
macellai e dei fornai e la sua effigie era in passato collocata sulla porta
delle stalle.
Era anche conosciuto
come il “mercante di neve” in quanto metà gennaio era il periodo più nevoso
dell’anno. Il santo veniva invocato per scongiurare gli incendi, e non a caso
il suo nome è legato ad una forma di herpes zoster, nota appunto come
"fuoco di sant'Antonio" o "fuoco sacro". Venerato a
gennaio, mese che anticamente in Brianza vedeva la celebrazione dei matrimoni,
era invocato dalle ragazze da marito che cantavano "Sant'Antoni
gluriùs, damm la grasia de fa 'l murùs, damm la grasia de fal bèll,
Sant'Antoni del campanèll".
La festa di sant'Antonio abate è oggi abbastanza viva in
Brianza, dove la si celebra tra bancarelle, frittelle e vin brûlé, e
soprattutto tra i falò. Antonio, come abbiamo visto, era infatti considerato il
patrono del fuoco. Secondo alcuni i riti attorno alla sua figura testimoniano
un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e
druidica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale
legato al fuoco come elemento beneaugurante.
Intorno al fuoco la gente del posto cantava anche qualche
canzone tramandata oralmente da padre a figlio. Ad esempio, in un grosso comune
della Brianza monzese si cantava così:
Sant’Antoni
di purcei el sunava i campanei;
i
campanei s’inn rumpü, Sant’Antoni el s’è scundü;
el
s’è scundü sutt a una porta, gh’era là una dòna morta;
gh’era
pizz i candilé, Sant’Antoni el gh’è andaa a dré;
el
gh’è andaa a dré fin al vapur, Sant’Antoni l’era un sciur;
l’era
un sciur senza pecaa, Sant’Antoni el s’è salvaa;
el
s’è salvaa in Paradis, Sant’Antoni e San Lüis.
Il 17 gennaio in molti paesi della Brianza si
benediceva il bestiame. In alcuni comuni tra i più grossi, dopo la benedizione
si andava nelle fiere del bestiame e si chiudeva il tutto con una processione
durante la quale i fornai portavano ai piedi della statua del santo le loro
offerte.
Dopo essermi documentato su alcune e
differenti fonti locali ed aver sentito oralmente residenti dei comuni
interessati ho constatato, con un certo stupore, che sono ancora parecchie le
località, più o meno grandi, nelle quali si festeggia sant’Antonio abate. Le
più vicine a Verderio sono Ronco Briantino, in provincia di Monza-Brianza, e
Brivio, in provincia di Lecco.
A Ronco, nella parrocchia di S.Ambrogio
ad Nemus, al termine della Messa solenne il parroco esce sul sagrato della
chiesa e benedice il bestiame, nonché i trattori ed i mezzi agricoli. “Nei
tempi andati” i contadini che avevano animali ammalati nelle stalle, facevano
benedire alcune manciate di sale che poi mescolavano al cibo dato al bestiame.
Brivio, il falò sull'Adda (foto tratta da Merateonline.it) |
A Brivio, nel Burgh di Tàter, anche
quest’anno un efficiente comitato festeggiamenti ha organizzato un denso
programma di iniziative in onore di sant’Antonio abate: sante messe,
benedizione del sale e del pane di sant’Antonio, vespri e momenti di preghiera,
offerta di piatti tipici della cucina brianzola, benedizione degli animali
domestici, solenne processione per le vie del borgo con la statua del santo e,
per terminare in bellezza la giornata del 17, “Giochi di luce sull’Adda, falò e
fuochi pirotecnici”.
Insomma, una festa i cui caratteri salienti riguardano il tentativo di mantenere il culto effettivamente diffuso e radicato delle buone tradizioni nella vita quotidiana dei brianzoli e, non da ultimo, attraverso un fenomeno religioso, potenziare le relazioni sociali e interpersonali degli abitanti del luogo e creare un buon auspicio per il futuro.
Insomma, una festa i cui caratteri salienti riguardano il tentativo di mantenere il culto effettivamente diffuso e radicato delle buone tradizioni nella vita quotidiana dei brianzoli e, non da ultimo, attraverso un fenomeno religioso, potenziare le relazioni sociali e interpersonali degli abitanti del luogo e creare un buon auspicio per il futuro.
Beniamino
Colnaghi
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