martedì 18 marzo 2025

Dal film La ricotta il pensiero di Pasolini sulla borghesia italiana

La ricotta è il quarto episodio del film del 1963 RoGoPaG, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Gli altri episodi sono: Illibatezza di Rossellini, Il nuovo mondo di Godard, Il pollo ruspante di Gregoretti.

È il terzo film di Pasolini e in esso, ancora una volta, il registra privilegia una storia che fa capo agli strati più umili ed emarginati della società. Tutti i figuranti e le comparse del film, la cui storia  rappresenta la Passione di Cristo, sono dei sottoproletari, dei “morti di fame” in senso letterale, come ci dirà lo stesso Pasolini attraverso l'”enorme mangiata” di ricotta, rappresentata quasi a conclusione del film e della vita stessa di Stracci, il protagonista dell’episodio. Ma Pasolini fa comparire anche la borghesia, nei panni rozzi e volgari del produttore e del suo entourage. E viene anche inserita l'”integrazione sociale” a cui pare credere il regista “marxista”, interpretato dallo statunitense Orson Welles, voluto fortemente in quel ruolo dallo stesso Pasolini.

La pellicola fu sequestrata con l’imputazione di “vilipendio alla religione di Stato” (1963). Ne seguì un processo nel quale, tra l’altro, il Procuratore della Repubblica Di Gennaro presentò ai “cattolici benpensanti” il film come “il cavallo di Troia della rivoluzione proletaria nella città di Dio”.

Il produttore del film, Alfredo Bini, deponendo al processo disse:

“Il film è composto di quattro episodi. Il filo conduttore è costituito dai diversi aspetti di uno stesso fenomeno, il condizionamento dell’uomo nel mondo moderno. Il primo regista, Rossellini, si occupava del condizionamento dell’uomo nei suoi rapporti con la donna; il secondo, Gregoretti, si occupava del condizionamento relativo alla tecnologia ; Godard prevedeva in un prossimo futuro piccolissimi fattori di degenerazione che avrebbero portato alla fine del mondo senza scosse; Pasolini si occupava della maggior parte degli uomini non ancora in tale stato di condizionamento”.

Le critiche e le motivazioni della persecuzione giudiziaria, come Pasolini stesso aveva previsto, erano dettate dalla malafede. Pasolini aveva diretto, in effetti, attraverso questo film, un attacco frontale nei confronti della borghesia e questo era il motivo vero che scatenò ancora una volta la canea nei suoi confronti.

Il senso di questo attacco è contenuto essenzialmente nelle parole, qui sotto riportate, che Pasolini fa dire al regista-Orson Welles e dirette al giornalista che gli chiede una intervista:

Giornalista: “Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?”
Regista: “Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.”
Giornalista: “Che cosa ne pensa della società italiana?”
Regista: “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.”
Giornalista: “Che cosa ne pensa della morte?”
Regista: “Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.”

Il regista-Orson Welles, dopo aver letto una poesia di Pasolini (Io sono una forza del passato…), tenendo tra le mani il libro Mamma Roma, dice infine al giornalista (mentre quest’ultimo idiotamente ride):

“Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste… Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione… e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale… Addio.”
In un breve scritto del 1961, antecedente all’uscita del film La ricotta, Pasolini così si espresse:
“Nulla muore mai in una vita. Tutto sopravvive. Noi, insieme, viviamo e sopravviviamo. Così anche ogni cultura è sempre intessuta di sopravvivenze. Nel caso che stiamo ora esaminando [La ricotta] ciò che sopravvive sono quei famosi duemila anni di “imitatio Christi”, quell’irrazionalismo religioso. Non hanno più senso, appartengono a un altro mondo, negato, rifiutato, superato: eppure sopravvivono. Sono elementi storicamente morti ma umanamente vivi che ci compongono. Mi sembra che sia ingenuo, superficiale, fazioso negarne o ignorarne l’esistenza. Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono il mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del Bene”.

La ricotta è, quindi, una denuncia della decadenza morale dell’uomo contemporaneo. Pasolini si serve di uno dei simboli del cristianesimo, la Passione di Cristo, per rappresentare, attraverso l’immoralità della troupe di quel set cinematografico, il vero Cristo: Stracci. Stracci ha una duplice funzione: rappresenta il sottoproletario sacrificato al vuoto borghese, e rappresenta l’incarnazione reale e contemporanea del Cristo. Stracci viene sacrificato, condannato a morte dalla ferocia di un mondo gretto e teso al consumo a tutti i costi.

Beniamino Colnaghi