Giancarlo
Puecher: un partigiano “giusto”, fucilato a Erba da un plotone di fascisti
Nella metà degli
anni Cinquanta del Novecento, Piero Calamandrei, politico antifascista e
giurista, affermò che la Costituzione italiana non è una carta morta, ma un
“testamento di centomila morti”, nata sulle montagne dove caddero i partigiani,
nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.
È dalla Brianza che probabilmente proviene il primo
martire della Resistenza, il ventenne Giancarlo Puecher, condannato a morte nel
dicembre del ’43, dopo un processo sommario e farsesco. Nella “guerra civile”
che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, i “giusti” furono costretti ad agire
contro le leggi in vigore, in nome del rispetto per le leggi non scritte per
ottenere la libertà, leggi del cuore o della coscienza. I “giusti tra le
nazioni”, i “gentili” che hanno salvato molti oppositori del regime ed ebrei
dalla persecuzione nazista in mezza Europa, furono ribelli alle norme sbagliate
delle dittature.
Primo Levi diceva che il male sta
nell’obbedienza, nel conformismo di quanti si sottomettono al potere,
rinunciando alla libertà ed alla responsabilità di pensare e agire.
La militanza partigiana di Giancarlo
Puecher si svolge nel breve arco di due mesi, dal 9 settembre del ’43 alla
notte del 12 novembre, quando viene catturato dalla polizia fascista. La sua
scelta di aderire alla Resistenza fu più una scelta etica che ideologica,
sorretta dal forte senso di responsabilità che lo animava e dalla volontà di
ridare dignità alla patria violentata e asservita alla barbarie nazifascista.
Puecher aveva compiuto la sua
maturazione democratica nell’ambiente familiare. Il padre Giorgio, di nascita
comasca, notaio, ebbe contatti con figure di primo piano dei movimenti
religiosi e cattolici antifascisti, tra cui don Primo Mazzolari e padre David
Maria Turoldo.
Dopo i primi bombardamenti su Milano del
febbraio 1943, i Puecher si trasferirono nella villa di famiglia a Lambrugo.
Subito dopo l’arrivo dei tedeschi a Milano e a Como il 12 settembre, si
costituisce il primo gruppo autonomo di resistenza in Brianza, a Ponte Lambro,
del quale il giovane Giancarlo è vicecomandante. La Brianza ed il Comasco
costituivano un territorio strategico per la loro vicinanza a Milano ed al
confine svizzero.
In queste zone è molto attiva la
partecipazione del mondo cattolico alla Resistenza. Alcuni parroci si espongono
personalmente; antifascista è il parroco di Lambrugo, don Edoardo Arrigoni,
come pure quello di Ponte Lambro, don Giovanni Strada. Dopo l’adesione al
regime, sancita dai Patti lateranensi del 1929, l’alleanza con il nazismo e
l’approvazione delle leggi razziali nel ’38 inducono molti credenti a prendere
le distanze dal regime. Molti sacerdoti si impegnano per nascondere ribelli,
militari sbandati ed ebrei, tengono nascoste in canonica le armi da portare ai
partigiani che combattono sulle montagne. Più di cinquecento sacerdoti morirono
nella Resistenza, cinquanta finiranno nei lager nazisti.
Il gruppo di Puecher, formato da una
ventina di uomini, compie azioni per intimidire fascisti e collaboratori,
espropria auto e camion, ruba la benzina nei depositi dei militi fascisti,
compie azioni di sabotaggio delle linee telefoniche tedesche.
La tragicità degli eventi conosce una
brusca accelerazione il 12 novembre 1943 quando viene ucciso a Erba Ugo
Pontiggia, centurione della Milizia e cassiere del Banco Ambrosiano. Con
Pontiggia è ucciso Angelo Pozzoli, questore della provincia di Como. Gli autori
del duplice omicidio rimasero ignoti, ma
quel che è certo è che il gruppo Puecher non aveva responsabilità. Dopo una
perquisizione di fascisti e SS della villa di Lambrugo, viene arrestato Giorgio
Puecher, padre di Giancarlo. Il podestà di Erba ordina il coprifuoco e dà
inizio al rastrellamento notturno. Giancarlo e Fucci, il capo del suo gruppo,
probabilmente ignari delle nuove norme, scendono in bicicletta da Canzo,
portando in borsa un tubo di gelatina e due volantini di minacce contro il
questore e il podestà. Vengono bloccati di notte nei pressi di Lambrugo; Fucci
tenta di estrarre la pistola ma viene ferito da un milite, Giancarlo Puecher
viene catturato, interrogato e poi condotto nel carcere di Como.
Intanto proseguono gli attentati contro
esponenti della RSI. Il 18 dicembre viene ucciso a Milano Aldo Resega,
commissario federale della città; per rappresaglia sono fucilati otto detenuti
politici. Il 20 dicembre a Erba è ucciso lo squadrista Germano Frigerio, noto
per le sue violenze, dopo di che viene istituito il Tribunale militare
straordinario per giudicare i responsabili degli omicidi, secondo la logica
nazista della rappresaglia. Il tribunale, presieduto dal tenente colonnello
Biagio Sallusti si insedia nel municipio di Erba. I capi d’accusa contro alcuni
imputati vennero imbastiti senza prove e accampando pretesti giuridici. Per
aver “promosso, organizzato e comandato una banda armata di sbandati dell’ex
esercito allo scopo di sovvertire le istituzioni dello stato”, Giancarlo
Puecher viene fucilato il 21 dicembre davanti al muro del cimitero di Erba, poi
sepolto nel cimitero di Lambrugo, accanto alla madre e, due anni dopo, al padre
Giorgio, morto di stenti nell’aprile del 1945 nel lager nazista di Mauthausen.
Degli ultimi momenti della vita di
Giancarlo ci restano le testimonianze dell’avvocato comasco Gianfranco
Beltramini, incaricato di procedere alla difesa d’ufficio del giovane
partigiano, e la lettera che padre Bastaroli, il cappellano incaricato di
assisterlo prima della fucilazione, invia al padre Giorgio. A Puecher fu concesso di scrivere un’ultima
lettera e di essere confessato. Scrisse ai parenti:
«…
L'amavo troppo la mia Patria, non la tradite, e voi tutti giovani d'Italia
seguite la mia via e avrete compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire
una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno
quello che fanno e non pensano che l'uccidersi tra fratelli non produrrà mai la
concordia... I martiri convalidano la fede in una vera idea. Ho sempre creduto
in Dio e perciò accetto la sua volontà.»
Il condannato abbraccia uno per uno i
militi e il comandante del plotone d’esecuzione, dicendo loro di averli
perdonati. Si pone davanti al plotone con la massima calma e muore gridando
“Viva l’Italia”.
La fama di Giancarlo Puecher si diffonde
ben presto tra le fila dell’antifascismo ed il suo nome viene dato a tre gruppi
partigiani attivi in Brianza. Uno di questi, attivo nell’Alto Lario e
inquadrato nella 52° Brigata Garibaldi, contribuirà poi alla cattura di
Mussolini e di altri gerarchi fascisti a Dongo.
Pochi mesi dopo la Liberazione,
sotto il governo Parri, Umberto di Savoia conferisce a Giancarlo Puecher la
medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Beniamino
Colnaghi