martedì 19 novembre 2024

EL PIOEUF

di Roberto Sala

Incoeu sun levà su ma el pioeuf.
Vardi foeura de la finestra, el pioeuf.
Sènti l'aria, lè la bréva, no lè propri un vènt
e de luntan, sènti gemò i vùss de un po' de gènt.
A vardà i piant, el par che indrè a sgalàs.
Se pieghen, undegen, no, vegne minga a bàs.
Sènti pù i vùss, de tuta che la gènt.
Eren foeura de la gèsa, e ades in na tutt dènt.
Intant foeura el pioeuf, la vègn de travèrs
ul cèl a lè tutt scùr, el sembra la fin de l'univèrs.
Quant el pioeuf, la gènt la resta un po' rabiada
ma per l'aria, e la campagna, lè una risanada.
Intant el pioeuf, sàri la finestra e me ritiri dènt
e per andà foeura, aspeti ancamò un mument.

Questa poesia in dialetto brianzolo di Roberto Sala, EL PIOEUF (Piove) è stata pubblicata sul periodico la curt, degli Amici della Storia della Brianza - n. 15 dell'ottobre 2022


mercoledì 6 novembre 2024

Giancarlo Puecher: un partigiano “giusto”, fucilato a Erba da un plotone di fascisti


Nella metà degli anni Cinquanta del Novecento, Piero Calamandrei, politico antifascista e giurista, affermò che la Costituzione italiana non è una carta morta, ma un “testamento di centomila morti”, nata sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.
È dalla Brianza che probabilmente proviene il primo martire della Resistenza, il ventenne Giancarlo Puecher, condannato a morte nel dicembre del ’43, dopo un processo sommario e farsesco. Nella “guerra civile” che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, i “giusti” furono costretti ad agire contro le leggi in vigore, in nome del rispetto per le leggi non scritte per ottenere la libertà, leggi del cuore o della coscienza. I “giusti tra le nazioni”, i “gentili” che hanno salvato molti oppositori del regime ed ebrei dalla persecuzione nazista in mezza Europa, furono ribelli alle norme sbagliate delle dittature.
Primo Levi diceva che il male sta nell’obbedienza, nel conformismo di quanti si sottomettono al potere, rinunciando alla libertà ed alla responsabilità di pensare e agire.

Giancarlo Puecher


La militanza partigiana di Giancarlo Puecher si svolge nel breve arco di due mesi, dal 9 settembre del ’43 alla notte del 12 novembre, quando viene catturato dalla polizia fascista. La sua scelta di aderire alla Resistenza fu più una scelta etica che ideologica, sorretta dal forte senso di responsabilità che lo animava e dalla volontà di ridare dignità alla patria violentata e asservita alla barbarie nazifascista.
Puecher aveva compiuto la sua maturazione democratica nell’ambiente familiare. Il padre Giorgio, di nascita comasca, notaio, ebbe contatti con figure di primo piano dei movimenti religiosi e cattolici antifascisti, tra cui don Primo Mazzolari e padre David Maria Turoldo.
Dopo i primi bombardamenti su Milano del febbraio 1943, i Puecher si trasferirono nella villa di famiglia a Lambrugo. Subito dopo l’arrivo dei tedeschi a Milano e a Como il 12 settembre, si costituisce il primo gruppo autonomo di resistenza in Brianza, a Ponte Lambro, del quale il giovane Giancarlo è vicecomandante. La Brianza ed il Comasco costituivano un territorio strategico per la loro vicinanza a Milano ed al confine svizzero.
In queste zone è molto attiva la partecipazione del mondo cattolico alla Resistenza. Alcuni parroci si espongono personalmente; antifascista è il parroco di Lambrugo, don Edoardo Arrigoni, come pure quello di Ponte Lambro, don Giovanni Strada. Dopo l’adesione al regime, sancita dai Patti lateranensi del 1929, l’alleanza con il nazismo e l’approvazione delle leggi razziali nel ’38 inducono molti credenti a prendere le distanze dal regime. Molti sacerdoti si impegnano per nascondere ribelli, militari sbandati ed ebrei, tengono nascoste in canonica le armi da portare ai partigiani che combattono sulle montagne. Più di cinquecento sacerdoti morirono nella Resistenza, cinquanta finiranno nei lager nazisti.
Il gruppo di Puecher, formato da una ventina di uomini, compie azioni per intimidire fascisti e collaboratori, espropria auto e camion, ruba la benzina nei depositi dei militi fascisti, compie azioni di sabotaggio delle linee telefoniche tedesche.
La tragicità degli eventi conosce una brusca accelerazione il 12 novembre 1943 quando viene ucciso a Erba Ugo Pontiggia, centurione della Milizia e cassiere del Banco Ambrosiano. Con Pontiggia è ucciso Angelo Pozzoli, questore della provincia di Como. Gli autori del duplice omicidio rimasero  ignoti, ma quel che è certo è che il gruppo Puecher non aveva responsabilità. Dopo una perquisizione di fascisti e SS della villa di Lambrugo, viene arrestato Giorgio Puecher, padre di Giancarlo. Il podestà di Erba ordina il coprifuoco e dà inizio al rastrellamento notturno. Giancarlo e Fucci, il capo del suo gruppo, probabilmente ignari delle nuove norme, scendono in bicicletta da Canzo, portando in borsa un tubo di gelatina e due volantini di minacce contro il questore e il podestà. Vengono bloccati di notte nei pressi di Lambrugo; Fucci tenta di estrarre la pistola ma viene ferito da un milite, Giancarlo Puecher viene catturato, interrogato e poi condotto nel carcere di Como.
Intanto proseguono gli attentati contro esponenti della RSI. Il 18 dicembre viene ucciso a Milano Aldo Resega, commissario federale della città; per rappresaglia sono fucilati otto detenuti politici. Il 20 dicembre a Erba è ucciso lo squadrista Germano Frigerio, noto per le sue violenze, dopo di che viene istituito il Tribunale militare straordinario per giudicare i responsabili degli omicidi, secondo la logica nazista della rappresaglia. Il tribunale, presieduto dal tenente colonnello Biagio Sallusti si insedia nel municipio di Erba. I capi d’accusa contro alcuni imputati vennero imbastiti senza prove e accampando pretesti giuridici. Per aver “promosso, organizzato e comandato una banda armata di sbandati dell’ex esercito allo scopo di sovvertire le istituzioni dello stato”, Giancarlo Puecher viene fucilato il 21 dicembre davanti al muro del cimitero di Erba, poi sepolto nel cimitero di Lambrugo, accanto alla madre e, due anni dopo, al padre Giorgio, morto di stenti nell’aprile del 1945 nel lager nazista di Mauthausen.
Degli ultimi momenti della vita di Giancarlo ci restano le testimonianze dell’avvocato comasco Gianfranco Beltramini, incaricato di procedere alla difesa d’ufficio del giovane partigiano, e la lettera che padre Bastaroli, il cappellano incaricato di assisterlo prima della fucilazione, invia al padre Giorgio. A Puecher fu concesso di scrivere un’ultima lettera e di essere confessato. Scrisse ai parenti:

«… L'amavo troppo la mia Patria, non la tradite, e voi tutti giovani d'Italia seguite la mia via e avrete compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non pensano che l'uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia... I martiri convalidano la fede in una vera idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.»   

Il condannato abbraccia uno per uno i militi e il comandante del plotone d’esecuzione, dicendo loro di averli perdonati. Si pone davanti al plotone con la massima calma e muore gridando “Viva l’Italia”.
La fama di Giancarlo Puecher si diffonde ben presto tra le fila dell’antifascismo ed il suo nome viene dato a tre gruppi partigiani attivi in Brianza. Uno di questi, attivo nell’Alto Lario e inquadrato nella 52° Brigata Garibaldi, contribuirà poi alla cattura di Mussolini e di altri gerarchi fascisti a Dongo. 
Pochi mesi dopo la Liberazione, sotto il governo Parri, Umberto di Savoia conferisce a Giancarlo Puecher la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.


Beniamino Colnaghi 

sabato 2 novembre 2024

In ricordo di Pier Paolo Pasolini 

(L'intellettuale venne barbaramente ucciso al Lido di Ostia il 2 novembre 1975; dopo quasi cinquant'anni, mandanti ed esecutori materiali non sono stati individuati)

La poesia che segue è stata scritta dal poeta nel 1962 ed è parte della prima edizione della raccolta Poesia in forma di Rosa, pubblicata nel 1964. 

Supplica a mia madre 

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…