Buon Natale
Pace e serenità per il nuovo anno
La Storia attraverso personaggi, luoghi ed eventi, nonchè storie di donne e uomini, non sempre potenti e famosi, spesso semplici e umili persone che, grazie al loro lascito di memorie e testimonianze quotidiane, ci consentono di conoscere meglio il loro tempo ed approfondire il nostro passato. Blog senza fini di lucro, che tratta argomenti storici, culturali e di costume.
La musica popolare in Brianza: dal canto alle bandelle, dai firlinfö alle bande musicali
Le bandelle erano formate da non più di sette o otto elementi, provenienti dalle più grandi bande musicali, che soddisfacevano le esigenze di svago e di divertimento delle classi popolari brianzole. Facevano ballare la gente nelle osterie e nelle piazze dei piccoli borghi, accompagnavano coloro che si recavano in pellegrinaggio ai santuari o facevano gite e escursioni, suonavano durante le numerose festività religiose, facevano serenate alle ragazze e suonavano ai matrimoni ed alle feste civili. Era pura passione e divertimento, c’era voglia di allegria per combattere la vita dura di quegli anni. In ogni paese della Brianza c’erano i musicisti, tutti di livello dilettantistico, che avevano imparato a suonare uno strumento dal padre, da un amico, da un vicino di casa. Con ogni probabilità le orchestrazioni e gli arrangiamenti erano frutto di improvvisazione, di tecnica e creatività estemporanee ed il direttore musicale, di solito, era il suonatore più anziano, quello che era ritenuto il più bravo.
Partiamo da Merate (Lecco)
Cernusco Lombardone (Lecco)
Forse era la festa di San Giovanni del 1928. Non c'è alcun documento che lo possa testimoniare, ma in quel giorno debuttava il Corpo Bandistico S. Cecilia: la banda di Cernusco Lombardone. L'occasione della festa religiosa radunava le bande di Bernareggio e Robbiate, già attive da tempo, e la formazione da poco nata di Cernusco. Era dunque il periodo del fascismo, durante la sua fase di transizione verso la dittatura, quando spesso e volentieri il tempo libero degli adulti era mutuato dall'Opera Nazionale Dopolavoro e per i giovani dall'Opera Nazionale Balilla. Gli scioperi erano banditi e proprio in quell'anno l'organo supremo del regime, il Gran Consiglio del Fascismo, assunse competenze e ambiti di intervento maggiori. L'idea di far sorgere una banda a Cernusco era di pochi mesi prima, esattamente dell'aprile del 1928, quando Alessandro Claudio Pirovano si trasferiva da Albiate Brianza a Cernusco. Cominciarono subito le lezioni teoriche di musica, in attesa degli strumenti: per questi non bastavano la passione e la volontà, ma ci volevano i soldi. I benemeriti furono Giuseppe Ancarani, Luigi Villa ed il dott. Severino Ferrario. Gli allievi erano circa 50 e le prove si svolgevano presso un'aula delle scuole elementari, per poi trasferirsi presso l'attuale sede OMNI e quindi presso l'oratorio femminile. La cittadinanza seguiva con interesse sia le prove sia le uscite pubbliche. Non ci sono resoconti o documenti ufficiali ma solo foto e testimonianze orali, dai quali ricostruire la storia. Oggi, il Corpo Musicale Alessandro Pirovano è un'organizzata associazione senza fini di lucro, con un proprio statuto, un proprio consiglio e soprattutto con un ottimo organico di giovani appassionati. È apprezzata nel proprio territorio per la qualità della propria musica e per la serietà dell'organizzazione: offre infatti la possibilità di avvicinarsi al mondo della musica con corsi e lezioni di insieme tenuti da validi professionisti. Svolge un’importante attività di educazione alla cultura musicale presso i piccoli allievi delle scuole del territorio.
Robbiate (Lecco)
Il Corpo Musicale Robbiatese fa la sua prima apparizione per la Piva di Natale del 1984. L’atto di fondazione viene fatto risalire al gennaio 1984, quando fu eletto il primo Consiglio Direttivo. Tuttavia, se questa fosse la sceneggiatura di un film, sarebbe opportuno inserire un flashback, un salto all’indietro, per menzionare il passato musicale di questo paese. Bisognerebbe tornare alla metà degli anni Venti del secolo scorso, quando Robbiate si trovò ad avere una sua formazione di strumenti a fiato. Non è rimasto molto di quel periodo. Si sa che venne istituita per volontà del medico Mignoli e che accantonò le proprie pretese musicali con lo scoppio della guerra. Pochi sono i ricordi – oggi rimasti senza testimoni diretti – sufficienti però a far scattare una scintilla di riscossa negli anni Ottanta. Va chiarito che è stato uno spunto iniziale. Quarant’anni di stop sono troppi per parlare di continuità, e del resto nemmeno gli attuali musicanti e dirigenti la avvertono. Alcuni cittadini sentirono l’esigenza di avere una associazione di musica che si unisse alle già presenti attività culturali, sociali e sportive del paese. Furono in particolare Vincenzo d’Angelo e Vincenzo Panettiere, a cui si aggiunsero Carlo Sozzi e Giovanni Riva, a imprimere la prima fiammata. «Ricordo ancora il volantino che mi trovai tra le mani sul banco delle scuole elementari – ha raccontato Riccardo Corno, che ha aderito fin da subito al progetto – nel quale veniva pubblicizzata la nascente scuola di musica a indirizzo bandistico». Era l’ottobre del 1983. Le prime lezioni si svolsero proprio in un’aula delle elementari e nel giro di poco tempo si iscrissero 52 persone. L’amministrazione comunale riconobbe subito l’importanza dell’iniziativa e la sovvenzionò con 15 milioni di lire. Forse anche per questo ancora oggi il labaro riporta lo stemma del Comune. Come primo presidente fu eletto Vincenzo Panettiere.
Colnago di Cornate D’Adda (Monza e Brianza)
Cantù
(Como)
La
Brianza, nel senso più esteso del termine, ossia quel territorio compreso tra
le attuali province di Como, Lecco e Monza Brianza, è quindi stata una terra di
grandi tradizioni canore e musicali, un’area nella quale piccole e grandi
formazioni, dalle bandelle ai corpi bandistici, hanno interpretato al meglio
delle loro possibilità, considerate le difficoltà di quei tempi, ciò che
emergeva dalla cultura popolare di genti umili e laboriose, diffondendole e
portandole a conoscenza di tutte le realtà presenti sul territorio.
Beniamino Colnaghi
I capelloni, i primi beat e gli hippies: i simboli della contestazione giovanile negli anni Sessanta
Negli anni Sessanta, per la prima volta, si prende coscienza di una nuova figura sociale, autonoma, scissa sia dal mondo infantile, sia dal mondo adulto: la figura del giovane. A partire dal 1960, si assiste ad una simultaneità di figure giovanili che si impongono sulla società adulta. Si fa riferimento agli antifascisti di Genova, agli operai meridionali che nel 1962 saranno a capo delle rivolte sindacaliste, ai beat e ai capelloni che anticiperanno di tre o quattro anni la rivolta studentesca. A causa di queste prime contestazioni, i giovani acquisiscono l’appellativo di “ribelli”. I giovani diventano sempre più coscienti delle proprie capacità di formulare una cultura diversa da quella tradizionale. La ragione di ciò risiede nel fatto che, questi, essendo elemento di rottura e al tempo stesso elemento innovatore, diventano il filtro attraverso cui passano le novità, i disagi e le rivolte degli anni Sessanta e attraverso cui si pongono le basi per costruire un obiettivo sociale futuro. Ecco perché questi nuovi soggetti diventano i protagonisti di un’epoca considerata critica, soprattutto per il nostro Paese, che stenta a mettersi in pari con i grandi cambiamenti raggiunti dal resto dell’Europa Occidentale e dagli Stati Uniti d’America. Il divario esistente può essere spiegato attraverso due chiari episodi: 1) la chiusura culturale causata dal ventennio fascista che comporta, con l’avvento degli anni Sessanta, un atteggiamento propenso soprattutto a recuperare tutto ciò che era stato messo al bando dal regime, piuttosto che prestare attenzione a quanto accade in Europa e America; 2) le resistenze conservatrici della Chiesa e di gran parte delle strutture sociali e politiche italiane. Il mancato riformismo, dovuto proprio a queste resistenze conservatrici, frena l’avanzamento della modernizzazione italiana e innesca quello che sarà definito “periodo di instabilità”. Il motivo che porta la società, in particolare quella giovanile, a chiedere prepotentemente una riforma istituzionale e culturale, nasce dal bisogno di rimescolare una situazione stagnante. E ciò spiega il motivo per cui, all’interno di una data situazione storica, si verificano spinte, sociali, economiche o culturali che provocano un “movimento” totale o parziale, capace di generare modifiche più o meno evidenti nel tessuto sociale stesso.
Un movimento di grande portata nel tessuto sociale italiano viene provocato dalla simbologia dei capelloni. I capelli diventano il simbolo anticonformista di rottura con la società adulta, diventando il segno della protesta giovanile e della critica al sistema. Quindi i giovani, per creare una netta differenziazione con gli adulti e trovandosi senza stabili punti di riferimento culturali e normativi, si rifugiano in strutture figurative autoprodotte e autorappresentate esclusivamente dai giovani per i giovani. La moda dei capelli lunghi, chiamati anche capelli alla “Nazarena”, cominciò a manifestarsi a Londra, in una isoletta del Tamigi, dove c’era una balera con pub che si chiamava Eel Pie Island Club. Adottata dagli adolescenti ribelli dei paesi dell’Europa settentrionale, la moda è, dunque, d’origine inglese. Questo non sorprende: in quegli anni, e per lungo tempo, fu infatti la gioventù inglese a dettar legge al resto del mondo in fatto di voghe e di gusto. Quel club era, come certi ritrovi di Liverpool, uno dei locali in cui convergevano più numerosi i “puri” della rivolta minorile: nascevano quasi tutti lì gli orientamenti che venivano quasi immediatamente registrati ed elaborati commercialmente dalle vie delle boutique dell’abbigliamento maschile e dalle case discografiche, dal cinema, dalla televisione. Il concetto del capellone ha un campo d’azione molto ampio: capellone è il beat, capellone è il sessantottino, capellone è colui che vive nelle comuni. Questo grossolano raggruppamento confluisce in un unico simbolo principale: la lunghezza dei capelli. L’insieme così composto costituisce la subcultura italiana, ovvero un insieme di modelli di comportamento come risposta ai problemi sociali preesistenti agli anni Sessanta. La causa che ha favorito la nascita di una controcultura è riscontrabile nelle incertezze generate dalle strutture dominanti, dentro le quali la nuova generazione cerca di sopravvivere mediante strategie di adattamento. Il movimento beat è la prima strategia di sopravvivenza a cui ci stiamo riferendo. Rappresenta la storia di una piccola sottocultura giovanile italiana che, per alcuni anni, prima dell’esplosione del Sessantotto, influenzerà settori marginali del mondo giovanile. Per gli adulti il fenomeno è una conseguenza causata dall’effetto di imitazione imposto dalla moda e da modelli provenienti da altri Paesi. Esiste comunque una distinzione tra i beat, e bisogna precisarla. Pur risultando anticonformisti nella loro totalità, i beat subiscono una scissione interna che li divide nel movimento radicale, legato alla protesta diretta, e nel movimento più moderato, legato alla protesta mediante la musica e la moda. La separazione tra i due mondi avviene quando la musica e la moda vengono commercializzate e istituzionalizzate. Il primo gruppo resterà ancorato alla controcultura e alla rivista Mondo Beat, il secondo incarnerà la produzione musicale successiva ai Beatles. La Beat Generation in Italia muove i primi passi a Milano nel 1965, “come conseguenza degli squilibri e dei difficili momenti di fronte ai quali si trovano, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale i giovani” che, per protesta, assumono atteggiamenti non conformi alle volontà del Paese, tanto da scatenare la repressione da parte della polizia, e quindi dello Stato, e da parte della gente comune, che li deride e li addita come disadattati. Come è stato appena spiegato, è in questo clima che nasce la rivista simbolo dei capelloni italiani, Mondo Beat. In contrasto con la stampa ufficiale, laica e borghese, è tra le esperienze più significative che si svolgono nel contesto della controcultura italiana. La testata alternativa, oltre a denunciare le calunnie e le ingiurie alle quali sono stati sottoposti i capelloni da parte degli organi di stampa controllati dal potere economico e politico, traccia un esauriente quadro della cultura, della mentalità, delle aspirazioni di questa frangia giovanile. Mondo Beat è la sintesi di quanto accade a Milano in questi anni tra le contestazioni e la nascita dei club culturali di periferia. In questi luoghi si riuniscono i giovani per discutere di politica o di cultura. I nuovi circoli, nati e gestiti autonomamente, rifiutano il coinvolgimento dei partiti che al contrario, vengono disertati. La caratteristica peculiare che attira l’interesse della gioventù italiana consiste sia nell’anticonformismo di cui sono composti i nuovi circoli culturali, sia nella possibilità che questi offrono circa la discussione di quegli argomenti che non vengono affrontati né nelle sezione dei partiti né in fondo da nessuna altra parte: la condizione delle donne in Italia, il problema del divorzio, l’organizzazione della famiglia, la scuola. Dalla necessità di creare una società alternativa vista dalla prospettiva “capellonica”, il primo maggio 1967, nasce New Barbonia, un campeggio beat situato in un’area regolarmente affittata per quattro mesi da Mondo Beat, diventando il simbolo della nuova generazione di “sovversivi”. Il progetto beat entra subito in contrasto con i perbenisti e con un quotidiano milanese che lo identifica come il covo dell’anarchia, dell’immoralità. A Nuova Barbonia viene presto collegato un nuovo fenomeno, quello delle fughe. Si tratta di un fenomeno che non riguarda le bravate di adolescenti disadattati, bensì un problema massificato che non va generalizzato con quanto accadeva nei decenni precedenti, quando le fughe erano programmate per inseguire i sogni di ricchezza. Quelle degli anni Sessanta nascondono ben altri disagi. Alla base di tutto risiede la paura di diventare come i propri genitori. Ad essere coinvolti sono soprattutto minorenni e in particolar modo ragazzine, che scappano di casa rifiutando i due più solidi princípi su cui è imperniata la società italiana, quello che vede i figli sottoposti all’autorità dei genitori, alloggiati in casa fino a quando si formano una loro famiglia, e quello che vuole la donna sottomessa all’uomo, incapace di prendere iniziative autonomamente. Le fughe saranno un fenomeno che durerà per tutto il decennio malgrado la vita precaria a cui saranno destinati i giovani capelloni fuggiaschi. La particolarità che la rende tanto affascinante è l’idea che, la fuga, dia la possibilità di sviluppare la libertà personale e che aiuti il soggetto a svincolarsi dalla morsa di un’educazione che troppo spesso acquista il significato di imposizione di una data esperienza e di un dato modo di vivere. Quest’ultimo è senza dubbio un concetto errato se si pensa che l’azione dell’educare non è sinonimo di obbligare a fare o non fare, ma rappresenta la delimitazione di uno spazio in cui ci si può muovere indipendentemente seguendo delle regole basilari.
Il capellone è per natura apolitico ma, con la svolta del Sessantotto, ripiega su alcune scelte estremiste. L’estremismo giovanile è la manifestazione di una crisi dei modelli organizzativi rappresentati da alcuni partiti, i quali, non coincidendo più con i progetti di rinnovamento sociale e culturale proposti dai giovani, vengono abbandonati dagli stessi per optare verso ideologie più radicali e verso l’azione attiva e rivoluzionaria proposta da altri gruppi. Il movimento studentesco, che sta alla base della contestazione del Sessantotto, è la sintesi di due fenomenologie: la crisi dell’attivismo giovanile istituzionale e lo sviluppo di un associazionismo politico non istituzionalizzato, come ad esempio sono i gruppi della sinistra extraparlamentare e dell’anarchismo, termine che descrive diverse filosofie politiche e movimenti sociali che propongono lo scioglimento di tutte le forme di governo e di gerarchia sociale. Dunque, il Sessantotto italiano, per le ragioni appena espresse, si identifica con la controcultura emergente e con i capelloni, esprimendo però un disagio maggiore che va oltre alla “rivolta contro i padri”, poiché si propone come protesta sociale e fenomeno di mobilitazione collettiva contro l’ordine esistente costituitosi subito dopo la Seconda guerra mondiale che verte sul modello americano e su quello sovietico. Tutto quello che accade negli anni Sessanta e in particolar modo nel Sessantotto è relazionato quindi al fermento sociale promosso dal cambiamento. Infatti, le stesse manifestazioni di dissenso e di contestazione descrivono le tensioni della società che il secondo dopoguerra ha partorito, per poi volgere verso un nuovo carattere sociale, appunto, nato tramite l’azione dei giovani.
Beniamino Colnaghi
Sul “mondo giovanile” di quegli anni, nel blog sono presenti altri post:
Woodstock: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2014/08/woodstock-agosto-1969.html
Rock: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2014/02/il-club-27-del-rock-maledizione.html
Zanzara: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/11/la-zanzara-del-liceo-parini-di-milano.html
Evasi: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/06/vennero-e-poi-i-cleptomani-i-complessi.html
Il fenomeno dei capelloni venne analizzato anche da Pier Paolo Pasolini, il quale scrisse il proprio pensiero sul “Corriere della Sera” del 7 gennaio 1973.