venerdì 30 maggio 2025

Monika Ertl, la giovane donna tedesca che vendicò il Che


Bolivia, 9 ottobre 1967. Il corpo esanime di Ernesto Guevara de la Serna, noto in tutto il mondo come il Che, giace su una lettiga. Le sue mani sono state tagliate, il suo aguzzino, Roberto Quintanilla, capo dei servizi segreti boliviani, si fa fotografare, con lo sguardo fiero, vicino a quel corpo che vuole rappresentare la fine ingloriosa del rivoluzionario più importante del Novecento. Muore il Che e nasce il mito. Finirà per ottenere l’effetto opposto: sono milioni i giovani di tutto il mondo a vedere, in quel corpo mutilato, un nuovo Cristo «socialista», a portare orgogliosi l’icona del Comandante, a credere nei suoi ideali, a perpetuarne l’idea. 
C’è però anche chi non si ferma all’ammirazione e al ricordo. Negli anni immediatamente successivi qualcuno medita vendetta. Tra questi c’è Monika, tedesca, e la sua storia è incredibile, affascinante, a cominciare dal fatto che suo padre è stato costretto a fuggire in America Latina perché legato alle più alte autorità del regime nazista… 
Trent’anni prima della morte del Che, a Monaco nasce Monika Ertl. Siamo nel 1937. Suo padre Hans ha da poco raggiunto la fama per aver collaborato alla produzione del documentario Olympia, il film nazista dedicato all’esaltazione degli atleti ariani alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Hans non si definisce un nazista, non crede negli ideali di Hitler, non è antisemita ma il suo lavoro lo porta ad avere contatti con le più alte autorità del Reich e a raggiungere la fama proprio durante la Seconda guerra mondiale quando, inviato a Tobruk, diviene il regista di numerosi cinegiornali propagandistici, dedicati all’avanzata della «volpe del deserto», il noto generale Erwin Rommel. Conosce così ufficiali della Gestapo e delle SS. Questa situazione, alla fine della guerra, divenne estremamente scomoda e lo costrinse a prendere contatti con le sue conoscenze alla Gestapo per usufruire di un passaggio sicuro lungo la cosiddetta Ratline, il complesso sistema di vie di fuga verso l’America Latina, sfruttato da molti criminali tedeschi dopo la guerra. 
Monika arriva così in Bolivia nel 1952; cresce a stretto contatto con la società tedesca di La Paz, quasi interamente composta da membri della Gestapo e delle SS. In particolare chiama «zio Klaus» Klaus Barbie, criminale di guerra, definito il macellaio di Lione durante l’occupazione della città francese. Monika cresce in un ambiente in cui razzismo e antisemitismo sono alla base di una società che, in via non ufficiale, esalta i valori del periodo più buio dell’umanità.           

Monika Ertl

È la figlia prediletta di Hans; come suo padre ama la fotografia, le armi da fuoco, il cinema e anche la politica. Accetta, sotto la spinta paterna, di sposarsi con un rappresentante dell’alta borghesia tedesca di La Paz ma, dopo dieci anni, il suo matrimonio fallisce perché un animo estroverso, pieno d’idee e passioni come il suo, mal conviveva con un nostalgico nazista che, al contrario, voleva una moglie devota e relegata al ruolo di casalinga e madre. Divorzia e, contemporaneamente, contro ogni logica, si appassiona alle gesta rivoluzionarie del Comandante Ernesto Guevara che, dopo la vittoriosa campagna di Cuba, sta diventando un idolo ispiratore per le masse di giovani social-comunisti. 
La figura del Che diviene per lei una fonte d’ispirazione, quasi un profeta, a tal punto che, quando nell’ottobre del 1967 Monika vede le immagini della morte del suo idolo, decide di dedicare la sua vita alla Rivoluzione. 
Rompe con la famiglia, taglia le sue radici ed entra nella Guerriglia dell’ELN (Esercito di Liberazione Boliviano). È in questo periodo che conosce Inti Peredo, leader comunista, e se ne innamora perdutamente. Cancella il suo nome tedesco, cancella la sua discendenza, divenendo Imilla la Rivoluzionaria

Ernesto Che Guevara

Ma quando si combatte una Rivoluzione «o si vince o si muore», come diceva proprio il Che, ed è così che Inti Peredo, nel 1969, finisce vittima di un’imboscata e viene torturato, fino alla morte, da quello stesso uomo che Imilla aveva visto nelle fotografie della morte del Che. Roberto Quintanilla, senza saperlo, ha privato quella giovane rivoluzionaria del suo idolo e del suo amore e si è materializzato, agli occhi color cielo della bellissima Monika, come il male in persona. È così che la 32enne tedesca inizia a meditare vendetta.  

Roberto Quintanilla, dopo quell’ennesimo successo controrivoluzionario, viene  promosso e, lasciando la carica di ufficiale dei Servizi Segreti, inizia una nuova carriera diplomatica. Il Governo boliviano gli conferisce un incarico alla sede dell’ambasciata ad Amburgo, in Germania. Il piano di Imilla e dei rivoluzionari boliviani era estremamente difficile da realizzare e ci vollero quasi due anni per organizzare, attraverso le reti dell’ultrasinistra internazionale, tutto ciò che serviva alla rivoluzionaria per arrivare, armata, davanti al suo obiettivo. Nel marzo del 1971, Monika s’imbarca per l’Europa sotto falso nome, fingendosi una turista australiana. Giunge ad Amburgo ed entra in contatto con uno degli intermediari dell’internazionalismo comunista che gli consegna una pistola Colt “Cobra” 38 Special, acquistata da un «compagno italiano». Il piano elaborato era curato nei minimi dettagli: Monika si sarebbe finta una turista interessata a visitare la Bolivia e, per questo, aveva necessità di vedere il console boliviano per il visto sul passaporto. Riuscì ad ottenere l’appuntamento con Quintanilla il primo aprile. Il console, dopo averla avuta di fronte, ed aver visto che si trattava di una donna bellissima, anche se camuffata sotto una parrucca color grigio chiaro e degli enormi occhiali, ordinò ai suoi fedelissimi di lasciarlo solo con quella donna. Dopo una breve chiacchierata introduttiva, Monika, guardando negli occhi il suo nemico, estrasse la calibro 38 ed esplose tre colpi. Per un momento si udì un silenzio quasi irreale: Quintanilla cadde a terra, senza vita, Monika respirò a pieni polmoni quell’attimo di libertà assoluta e cominciò a correre. Nella fuga la rivoluzionaria lasciò dietro di sé la parrucca, la sua borsetta, la Colt Cobra 38 Special, ed un pezzo di carta dove si leggeva:

Vittoria o morte. ELN

La polizia tedesca, il giorno stesso, raccolse gli oggetti abbandonati dalla Ertl, tra cui l’arma, che fu analizzata dalla polizia internazionale e si scoprì, attraverso il numero di matricola, che era stata acquistata tre anni prima, a Milano, da Giangiacomo Feltrinelli. Il mandato di arresto raggiunse la casa del noto editore italiano ma di lui non v’era traccia. Sarà rivisto solo un anno dopo quando venne trovato il suo corpo senza vita sotto un traliccio a Segrate. Monika iniziò una fuga rocambolesca che, dopo diversi mesi, la fece tornare dai suoi compagni di lotta in Bolivia. Si rese presto conto però che quella vendetta gli sarebbe costata cara: il governo boliviano mise una cospicua taglia sulla sua testa. Tra i vari cacciatori di taglie che si misero sulle sue tracce c’era anche una sua vecchia conoscenza, lo «zio Klaus», Klaus Barbie. Monika temeva Klaus più di chiunque altro. Decise allora di occuparsi personalmente di lui e, per farlo, contattò Régis Debray, un guerrigliero francese e amico personale di Guevara, con cui si mise sulle tracce del macellaio di Lione. Barbie però fu più bravo e, nel 1973, riuscì a sorprendere Monika che riposava in un nascondiglio della guerriglia boliviana. Non si sa praticamente nulla di ciò che accadde quella notte, di cosa Monika abbia dovuto subire, di dove sia finito il suo corpo. Invano suo padre Hans chiese personalmente a Barbie di avere indietro la salma della sua amata figlia per darle una sepoltura dignitosa. Gliela negarono, forse per non mostrare che era stata torturata prima dell’uccisione. Monika rimase una combattente senza tomba, caduta nella giungla. Invece, il 28 giugno 1997 i resti del cadavere di Guevara furono esumati in una fossa comune vicino alla pista di volo a Vallegrande, in Bolivia; i resti di Ernesto Che Guevara, comprese le mani, torneranno a Cuba, e sono stati inumati nel mausoleo eretto in suo onore a Santa Clara, dove si svolse l’ultima battaglia della rivoluzione.

Beniamino Colnaghi

 

Fonti:

La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, di Jürgen Schreiber, Nutrimenti, Roma 2011.

Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Monika_Ertl

Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Che_Guevara