Monika Ertl, la giovane donna tedesca che vendicò il Che
Bolivia, 9
ottobre 1967. Il corpo esanime di Ernesto Guevara de la Serna, noto in tutto il
mondo come il Che, giace su una lettiga. Le sue mani sono state tagliate, il
suo aguzzino, Roberto Quintanilla, capo dei servizi segreti boliviani, si fa
fotografare, con lo sguardo fiero, vicino a quel corpo che vuole rappresentare
la fine ingloriosa del rivoluzionario più importante del Novecento. Muore il Che e
nasce il mito. Finirà per ottenere l’effetto opposto: sono milioni i giovani di
tutto il mondo a vedere, in quel corpo mutilato, un nuovo Cristo «socialista»,
a portare orgogliosi l’icona del Comandante, a credere nei suoi ideali, a
perpetuarne l’idea.
C’è però anche chi non si ferma all’ammirazione e al ricordo. Negli anni immediatamente successivi qualcuno medita vendetta. Tra questi c’è Monika, tedesca, e la sua storia è incredibile, affascinante, a cominciare dal fatto che suo padre è stato costretto a fuggire in America Latina perché legato alle più alte autorità del regime nazista…
Trent’anni prima della morte del Che, a Monaco nasce Monika Ertl. Siamo nel 1937. Suo padre Hans ha da poco raggiunto la fama per aver collaborato alla produzione del documentario Olympia, il film nazista dedicato all’esaltazione degli atleti ariani alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Hans non si definisce un nazista, non crede negli ideali di Hitler, non è antisemita ma il suo lavoro lo porta ad avere contatti con le più alte autorità del Reich e a raggiungere la fama proprio durante la Seconda guerra mondiale quando, inviato a Tobruk, diviene il regista di numerosi cinegiornali propagandistici, dedicati all’avanzata della «volpe del deserto», il noto generale Erwin Rommel. Conosce così ufficiali della Gestapo e delle SS. Questa situazione, alla fine della guerra, divenne estremamente scomoda e lo costrinse a prendere contatti con le sue conoscenze alla Gestapo per usufruire di un passaggio sicuro lungo la cosiddetta Ratline, il complesso sistema di vie di fuga verso l’America Latina, sfruttato da molti criminali tedeschi dopo la guerra.
C’è però anche chi non si ferma all’ammirazione e al ricordo. Negli anni immediatamente successivi qualcuno medita vendetta. Tra questi c’è Monika, tedesca, e la sua storia è incredibile, affascinante, a cominciare dal fatto che suo padre è stato costretto a fuggire in America Latina perché legato alle più alte autorità del regime nazista…
Trent’anni prima della morte del Che, a Monaco nasce Monika Ertl. Siamo nel 1937. Suo padre Hans ha da poco raggiunto la fama per aver collaborato alla produzione del documentario Olympia, il film nazista dedicato all’esaltazione degli atleti ariani alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Hans non si definisce un nazista, non crede negli ideali di Hitler, non è antisemita ma il suo lavoro lo porta ad avere contatti con le più alte autorità del Reich e a raggiungere la fama proprio durante la Seconda guerra mondiale quando, inviato a Tobruk, diviene il regista di numerosi cinegiornali propagandistici, dedicati all’avanzata della «volpe del deserto», il noto generale Erwin Rommel. Conosce così ufficiali della Gestapo e delle SS. Questa situazione, alla fine della guerra, divenne estremamente scomoda e lo costrinse a prendere contatti con le sue conoscenze alla Gestapo per usufruire di un passaggio sicuro lungo la cosiddetta Ratline, il complesso sistema di vie di fuga verso l’America Latina, sfruttato da molti criminali tedeschi dopo la guerra.
Monika arriva così in Bolivia nel
1952; cresce a stretto contatto con la società tedesca di La Paz, quasi
interamente composta da membri della Gestapo e delle SS. In particolare chiama
«zio Klaus» Klaus Barbie, criminale di guerra, definito il macellaio di Lione
durante l’occupazione della città francese. Monika cresce in un ambiente in cui
razzismo e antisemitismo sono alla base di una società che, in via non
ufficiale, esalta i valori del periodo più buio
dell’umanità.
Monika Ertl
È la figlia prediletta di Hans; come
suo padre ama la fotografia, le armi da fuoco, il cinema e anche la politica.
Accetta, sotto la spinta paterna, di sposarsi con un rappresentante dell’alta
borghesia tedesca di La Paz ma, dopo dieci anni, il suo matrimonio fallisce
perché un animo estroverso, pieno d’idee e passioni come il suo, mal conviveva
con un nostalgico nazista che, al contrario, voleva una moglie devota e
relegata al ruolo di casalinga e madre. Divorzia e, contemporaneamente, contro
ogni logica, si appassiona alle gesta rivoluzionarie del Comandante Ernesto
Guevara che, dopo la vittoriosa campagna di Cuba, sta diventando un idolo
ispiratore per le masse di giovani social-comunisti.
La figura del Che diviene per lei
una fonte d’ispirazione, quasi un profeta, a tal punto che, quando nell’ottobre
del 1967 Monika vede le immagini della morte del suo idolo, decide di dedicare
la sua vita alla Rivoluzione.
Rompe con la
famiglia, taglia le sue radici ed entra nella Guerriglia dell’ELN (Esercito di
Liberazione Boliviano). È in questo periodo che conosce Inti Peredo, leader
comunista, e se ne innamora perdutamente. Cancella il suo nome tedesco,
cancella la sua discendenza, divenendo Imilla la
Rivoluzionaria.
Ma quando si combatte una
Rivoluzione «o si vince o si muore», come diceva proprio il Che, ed è così che
Inti Peredo, nel 1969, finisce vittima di un’imboscata e viene torturato, fino
alla morte, da quello stesso uomo che Imilla aveva visto nelle fotografie della
morte del Che. Roberto Quintanilla, senza saperlo, ha privato quella giovane
rivoluzionaria del suo idolo e del suo amore e si è materializzato, agli occhi
color cielo della bellissima Monika, come il male in persona. È così che la
32enne tedesca inizia a meditare vendetta.
Roberto Quintanilla, dopo
quell’ennesimo successo controrivoluzionario, viene promosso e, lasciando la carica di ufficiale
dei Servizi Segreti, inizia una nuova carriera diplomatica. Il Governo
boliviano gli conferisce un incarico alla sede dell’ambasciata ad Amburgo, in
Germania. Il piano di Imilla e dei rivoluzionari boliviani era estremamente
difficile da realizzare e ci vollero quasi due anni per organizzare, attraverso
le reti dell’ultrasinistra internazionale, tutto ciò che serviva alla
rivoluzionaria per arrivare, armata, davanti al suo obiettivo. Nel marzo del 1971, Monika s’imbarca
per l’Europa sotto falso nome, fingendosi una turista australiana. Giunge ad
Amburgo ed entra in contatto con uno degli intermediari dell’internazionalismo
comunista che gli consegna una pistola Colt “Cobra” 38 Special, acquistata da
un «compagno italiano». Il piano elaborato era curato nei
minimi dettagli: Monika si sarebbe finta una turista interessata a visitare la
Bolivia e, per questo, aveva necessità di vedere il console boliviano per il
visto sul passaporto. Riuscì ad ottenere l’appuntamento con Quintanilla il
primo aprile. Il console, dopo averla avuta di fronte, ed aver visto che si
trattava di una donna bellissima, anche se camuffata sotto una parrucca color
grigio chiaro e degli enormi occhiali, ordinò ai suoi fedelissimi di lasciarlo
solo con quella donna. Dopo una breve chiacchierata introduttiva, Monika, guardando
negli occhi il suo nemico, estrasse la calibro 38 ed esplose tre colpi. Per un
momento si udì un silenzio quasi irreale: Quintanilla cadde a terra, senza
vita, Monika respirò a pieni polmoni quell’attimo di libertà assoluta e
cominciò a correre. Nella fuga la rivoluzionaria lasciò dietro di sé la
parrucca, la sua borsetta, la Colt Cobra 38 Special, ed un pezzo di carta dove
si leggeva:
Vittoria o
morte. ELN
La polizia tedesca, il giorno
stesso, raccolse gli oggetti abbandonati dalla Ertl, tra cui l’arma, che fu
analizzata dalla polizia internazionale e si scoprì, attraverso il numero di
matricola, che era stata acquistata tre anni prima, a Milano, da Giangiacomo
Feltrinelli. Il mandato di arresto raggiunse la casa del noto editore italiano
ma di lui non v’era traccia. Sarà rivisto solo un anno dopo quando venne trovato
il suo corpo senza vita sotto un traliccio a Segrate. Monika iniziò una fuga rocambolesca
che, dopo diversi mesi, la fece tornare dai suoi compagni di lotta in Bolivia.
Si rese presto conto però che quella vendetta gli sarebbe costata cara: il
governo boliviano mise una cospicua taglia sulla sua testa. Tra i vari
cacciatori di taglie che si misero sulle sue tracce c’era anche una sua vecchia
conoscenza, lo «zio Klaus», Klaus Barbie. Monika temeva Klaus più di chiunque
altro. Decise allora di occuparsi personalmente di lui e, per farlo, contattò
Régis Debray, un guerrigliero francese e amico personale di Guevara, con cui si
mise sulle tracce del macellaio di Lione. Barbie però fu più bravo e, nel 1973,
riuscì a sorprendere Monika che riposava in un nascondiglio della guerriglia
boliviana. Non si sa praticamente nulla di ciò che accadde quella notte, di
cosa Monika abbia dovuto subire, di dove sia finito il suo corpo. Invano suo padre Hans chiese
personalmente a Barbie di avere indietro la salma della sua amata figlia per
darle una sepoltura dignitosa. Gliela negarono, forse per non mostrare che era
stata torturata prima dell’uccisione. Monika rimase una combattente senza
tomba, caduta nella giungla. Invece, il 28 giugno 1997 i resti del cadavere di Guevara furono
esumati in una fossa comune vicino alla pista di volo a Vallegrande, in Bolivia; i resti di
Ernesto Che Guevara, comprese le mani, torneranno a Cuba, e sono stati inumati
nel mausoleo eretto in suo onore a Santa Clara, dove si svolse l’ultima
battaglia della rivoluzione.
Beniamino
Colnaghi
Fonti:
La ragazza che vendicò Che
Guevara. Storia di Monika Ertl, di Jürgen Schreiber, Nutrimenti, Roma 2011.
Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Monika_Ertl
Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Che_Guevara