Milano, le vecchie bancarelle di libri usati
Nelle più rinomate
vie e piazze della vecchia Milano, parliamo dei primi decenni del Novecento, erano
dislocate diverse bancarelle che vendevano libri usati. Ce n’erano delle più
disparate. Certe bancarelle erano
specializzate in filoni ben precisi, altre proponevano tutto quello che
riuscivano a trovare e spesso reclamizzavano offerte speciali e maggiori sconti
se si acquistavano più libri.
Porta Venezia, ad esempio, aveva il più alto numero di
bancarelle. A dire il vero non erano vere e proprie bancarelle, ma carretti con
ruote, facilmente spostabili, attrezzati con cassette e piccoli scaffali per
disporvi i libri.
Una di queste bancarelle apparteneva ad un signore sempre
vestito di nero che aveva l’aria mefistofelica: occhialini d’oro, calvo, pizzetto ben stirato. Sul suo conto correvano strane voci. Si
diceva che fosse un avvocato cancellato dall’albo per qualche oscura ragione.
Ma era molto abile nel proporre e vendere i libri. Aveva la mania dei vecchi periodici
e degli almanacchi ottocenteschi. Legato al carretto con una corda c’era un
grosso pacco che conteneva le annate del giornale anticlericale L’asino.
Poi aveva le raccolte dei grandi processi pubblicati da Sonzogno. Intorno alla
bancarella, a sfogliare e a prendere appunti, s’incontravano talvolta
giornalisti che s’occupavano di cronaca nera, magistrati e avvocati alle prime
armi.
Scostata di qualche metro, c’era invece la bancarella di una
signora che portava sempre una sciarpa verde. Era una fanatica della lirica, un
irriducibile loggionista. Infatti si era specializzata in libretti d’opera. Se
ne trovavano, ammucchiati ed alla rinfusa, in edizioni popolari a cinquanta
centesimi mentre in una cassetta teneva le edizioni di pregio.
La bancarella più popolare, anche per via della simpatia che
sprigionava il suo proprietario, era quella di un vecchio che fumava sempre una
piccola pipa. Fumatore impenitente, non si toglieva la pipa di bocca neanche
per parlare. Aveva la barba incolta e sudicia ma era un uomo dal buon
carattere, paziente e conciliante sul prezzo. Aveva un po’ di tutto: dai
romanzi francesi e portoghesi ai libri di devozione e trattati di grafologia.
I bancarellari di Porta Venezia non si concedevano mai
vacanza, tranne che alla domenica. D’inverno sfidavano il freddo coperti con
cappellacci, pastrani e cappotti incatramati.
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Milano, una bancarella di libri in Piazza Mercanti |
Sui gradini del Palazzo
della Ragione, in via dei Mercanti, pieno centro città, esponeva un tipo
con barba e capelli da Mosè e le
orecchie turate da peli grigi che gli si arricciavano intorno ai lobi. Dal nome
e dal fisico pareva fosse Ebreo. Il libraio acquistava dai critici, che li
avevano ricevuti per recensirli, libri appena comparsi in libreria e li vendeva
a metà prezzo. Dopo alcuni anni si trasferì in piazza Mentana ed il suo posto
fu preso dai Finzi, padre e figlio, il quale, quest’ultimo, aprì più tardi un
rifornito antiquariato di libri usati e stampe in Foro Bonaparte.
Un’altra zona della
città che vedeva la presenza di bancarellari era Largo Cairoli. C’era un uomo
di mezza età, strambo e poco simpatico e non era uno che praticava sconti,
anzi, molto spesso, a seconda dell’acquirente, aumentava il prezzo con mille
pretesti. A Largo Cairoli si trasferì, dal passaggio Santa Margherita, un altro
bancarellaro, che a causa della sua barba aggressiva veniva chiamato
familiarmente il “Barbetta”. Negli anni Trenta si è ritirato dalla piazza e
l’attività è stata prelevata dal figlio, che ha aperto un negozio di
antiquariato librario nella non lontana via Camperio.
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Milano, la "moderna bancarella" di Piazza Cairoli |
Una modesta bancarella
di libri era stata installata di fronte alla chiesa di San Carlo, ma non
vendeva molto, il luogo non era adatto. Nel quartiere Brera, invece, bancarelle
ve n’erano parecchie. In via Fiori Oscuri si era collocato un libraio assai
stravagante. Non aveva una vera e propria bancarella, ma disponeva i libri e
una scatola di legno che emanava un buon odore di tabacco su uno sdrucito
zerbino di un atrio d’albergo. La scatola di legno doveva aver contenuto dei
sigari cubani, ma il venditore vi aveva riposto dei santini d’occasione.
Appoggiate al muro vi erano delle stampe in quadrante in passe-partout di
cartone. Il libraio era un uomo di mezza età, ben conservato, in giacca di
velluto che gli dava l’aria di un pittore bohémien. Non stava mai fermo
e spesso andava in giro per restar via delle ore. Se qualcuno chiedeva di lui
guardandosi intorno, v’era sempre il portiere dell’albergo o un negoziante che
rispondeva in vernacolo: “L’è andaa a fà on poo d’acqua, ma el ven subit”. Le
stampe provenivano perlopiù da Vienna ed erano databili intorno al
Sette-Ottocento. I santini venivano dalla Spagna ed erano stampati su
carta-tela e dipinti a mano. Sul retro recavano la leggenda del santo o della
santa che riproducevano.
In piazza Cordusio,
solo per alcuni mesi, un giovane magro e giallognolo, dalle orecchie a
sventola, vestito con una giacchetta nera e striminzita esponeva i suoi libri
sulla scalinata dell’allora palazzo della Borsa. Non era di Milano. Era
toscano, di Lucca. Aveva fatto richiesta alle autorità ed aveva ottenuto quel
posto. Era figlio di povera gente e grazie a una ricca signora che pagava la
retta, l’avevano messo in seminario. Purtroppo si era ammalato e i superiori
avevano consigliato i genitori di tenerlo a casa e curarlo. Da allora aveva
fatto un po’ di tutto: il galoppino per un notaio, il commesso d’una bottega
d’oggetti sacri, il lavapiatti in un’osteria. Poi aveva conosciuto una ragazza
ed aveva combinato il guaio, ma aveva riparato prima ancora che il pargolo nascesse.
Verso la fine degli anni Venti, era arrivato a Milano con la moglie ed il
figlio grazie all’interessamento di un gerarca fascista. Le speranze erano
molte, ma i libri pochini, per una città come Milano. Il posto era buono, di
largo transito, ma egli, tra una tossita e l’altra, da spezzare il cuore, si
lagnava sempre di non trovare i libri. Era tisico all’ultimo stadio ed il clima
di Milano certo non gli giovava. Poi,
dopo qualche mese, prese il suo posto una donnetta in scialle nero: era la
moglie in lutto. I milanesi, brava gente, l’avevano aiutata, ma non ha
resistito a lungo da sola a Milano; è ritornata a Lucca dai suoi, riprendendo
il suo lavoro di cardatrice di lana.
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Milano, Piazza Cordusio in una foto degli anni Trenta |
All’apertura della
Fiera di Porta Genova, che poteva durare da una settimana a un mese,
immancabilmente giungeva il bancarellaro di Massa Carrara. Era un pioniere
della diffusione del libro che portava con la bricolla fin nelle più remote
valli delle Alpi Orobiche e nella Pianura Padana. In Lombardia si leggeva di
più che in altre regioni. La grande bancarella era aperta e illuminata fino a
mezzanotte. Appeso al palo centrale era affisso un cartello a caratteri
cubitali: “Chi non legge è un …oca”. Sulla bancarella c’erano i migliori
romanzi dell’epoca e opere prime dei più grandi autori. Il venditore praticava
sconti eccezionali, tanto più alti quanti più libri si compravano.
C’è stato un certo
Arnaboldi, che qualcuno suppose figlio di un garibaldino milanese, che
produceva disegni con inchiostro di china. Una cartella, da titolo Milano
perduta, che conteneva quindici tavole firmate Arnaboldi, era in vendita
presso un vecchio libraio che esponeva in piazza Cavour, sulla spalletta del
Naviglio. Era un vecchio poco simpatico, che fumava sempre la pipa e guardava
con indifferenza gli eventuali acquirenti. Oltremodo vendeva poco, perché era
caro e non mollava sul prezzo. Ogni tanto aveva libri intonsi e fondi di
magazzino, che smaltiva con lentezza. Per lo più erano libri di autori
sconosciuti, fatti stampare a proprie spese, ma c’erano anche libri, pochi, di
autori non del tutto ignoti.
Beniamino Colnaghi